Sergio Perugini
Donne forti, resilienti e pragmatiche. Sono le protagoniste dei film in cartellone alla 16a Festa del Cinema di Roma tra domenica 17 e lunedì 18 ottobre. Anzitutto il dramma “Mothering Sunday” diretto da Eva Husson: cammino di formazione di un giovane domestica nell’Inghilterra anni ’20 che rompe gli steccati sociali e si afferma come scrittrice. Cast britannico di grande richiamo a partire dai giovani Odessa Young e Josh O’Connor ai premi Oscar Olivia Colman e Colin Firth. Ancora, “Hive” è l’opera prima della regista Blerta Basholli, che racconta il coraggio delle donne nel cammino di ricostruzione dopo la guerra nel Kosovo. Infine, il thriller ecologista “The North Sea” di John Andreas Andersen, dove la protagonista è una coraggiosa donna ingegnere. Il punto Cnvf-Sir. “Mothering Sunday”
Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, “Mothering Sunday” è un dramma inglese storico-sentimentale diretto dalla regista Eva Husson che prende le mosse dal romanzo di Graham Swift. L’opera ruota attorno al cammino di formazione e affermazione di una scrittrice nell’Inghilterra del XX secolo, dagli anni ’20 ai nostri giorni. “L’occasione – ha sottolineato la regista – è quella di “portare sul grande schermo la storia di una scrittrice alla Doris Lessing”. La vicenda: campagna inglese 1924, giorno della festa della mamma. Le famiglie nobili si danno appuntamento per pranzi all’aperto, mentre i loro domestici hanno la giornata libera. La giovane domestica Jane Fairchild (Odessa Young) si abbandona all’amore per il nobile Paul Sheringham (Josh O’Connor), unico erede del casato dopo la scomparsa dei fratelli nella Grande guerra. L’intensità di quell’amore consumato nella segretezza condizionerà la vita di Jane. Quello che colpisce di più di “Mothering Sunday” è anzitutto la grande cura formale inglese, quella meticolosa messa in scena, quell’ambientazione storica cesellata di dettagli puntuali e costumi inappuntabili. Nelle grandi case nobiliari alla “Downton Abbey” si affastellano le memorie di un glorioso passato che va purtroppo sbiadendo a favore di una modernità vorace, come pure i traumi di quella Grande guerra che ha falciato i sogni di futuro e insieme le forza di un’intera generazione. In questa cornice così elegante e dolente, si muove una giovane donna pronta a uscire dai rigidi schemi sociali, ad assecondare passioni, sentimenti e aspirazioni, tanto nella scrittura quando nelle relazioni amorose. Giocato su continui salti temporali, come un flusso di ricordi vorticoso e disordinato, “Mothering Sunday” si rivela un elegante e suggestivo sguardo sulla donna nella società inglese, il deciso cammino verso l’indipendenza personale e professionale. A ben vedere non tutto torna dalla sceneggiatura di Alice Birch, ma la costruzione narrativa fumosa ed enigmatica funziona, e molto: un puzzle esistenziale che si compone con una bella tensione crescente. A impreziosire l’opera è il cast tutto, dai veterani Olivia Colman e Colin Firth alle giovani star Odessa Young e Josh O’Connor, quest’ultimo fresco vincitore dell’Emmy per il ruolo del principe Carlo in “The Crown”. Nell’insieme “Mothering Sunday” è un’opera avvolgente e ricercata, dall’elegante confezione formale; dal punto di vista pastorale il film è complesso, problematico e adatto per dibattiti, idoneo a un pubblico adulto.
Un’intensa e potente opera prima. È “Hive”, film firmato dalla regista Blerta Basholli, accolto con diversi riconoscimenti all’ultimo Sundance Film Festival tra cui il Gran Premio della giuria. È la storia vera di Fahrije Hoti, una donna quarantenne nel Kosovo post guerra, vedova e madre di due figli in età preadolescenziale. Fahrije non ha una tomba su cui piangere il proprio marito, disperso come tanti altri nelle sanguinose violenze del conflitto; i soldi scarseggiano in casa, così si mette alla disperata ricerca di una svolta: prende la patente e convince le altre donne del piccolo villaggio, anche loro rimaste vedove, a mettere su una produzione di specialità tradizionali, tra miele e salsa di peperoni. Il resto della comunità, però, la guarda male, giudica negativamente questa sua intraprendenza poco ossequiosa delle dinamiche patriarcali. Con uno stile in sottrazione, fatto più di sguardi che di parole, la regista Basholli ci accompagna nelle pieghe di un Paese segnato da un conflitto doloroso, feroce, che ha mutilato intere famiglie. Attraverso la storia di Fahrije Hoti, la regista ci consegna la parabola di un riscatto messo in atto da una donna, da un gruppo di donne, come uno sciame operoso di api (“Hive” in inglese significa appunto “sciame”, “arnia”) capaci di riedificare speranza, futuro. Sono solo le donne che hanno la forza di rimettersi in piedi, di trasformare quel dolore lacerante lasciato dalla guerra in una reazione tesa alla riconciliazione con la vita, con la propria esistenza. Le donne sono le uniche capaci di cambiare, di vedere oltre l’orizzonte del pregiudizio stabilendo tra loro un patto fiduciario, solidale. A ben vedere, per alcuni aspetti, il film “Hive” ricorda molto il recente “Quo vadis, Aida?” di Jasmila Žbanić, struggente racconto del coraggio di una donna di sapersi rimettere in cammino e perdonare dopo le atrocità vissute nel massacro di Srebrenica. Dal punto di vista pastorale “Hive” è consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
John Andreas Andersen, norvegese classe 1971, è un affermato direttore della fotografia, che con il film “The North Sea” dirige un magnetico thriller a sfondo ambientale-ecologico. La storia: Mare del Nord oggi, la Norvegia ha una serie di piattaforme petrolifere dislocate lungo la costa; un’attività estrattiva avviata alla fine degli anni ’60 che ha reso l’economia del Paese ricca e florida nel tempo. Una serie di incidenti, però, rivelano le fragilità del sottosuolo marino, al punto da aprire il fronte di un pericoloso disastro ecologico . Protagonista è l’ingegnere Sofia (Kristine Kujath Thorp), ricercatrice nella robotica marina per operazioni di soccorso, una donna tenace e pragmatica che saprà fronteggiare la crisi in atto con risolutezza ma anche grande umanità. Il regista John Andreas Andersen unisce il thriller catastrofico alla tematica ambientale, al “climate change”, un racconto ad alta tensione governato con padronanza e compostezza, senza derive fracassone. Certo, qua e là qualche sbavatura compare, ma nel complesso la narrazione corre per oltre 100 minuti con notevole compattezza e fluidità, mantenendo sempre a fuoco il realismo. A livello tematico, oltre al richiamo contro gli abusi verso la natura, il film sottolinea l’eroismo al femminile, una donna che si prende la scena per acume e umanità, ma dal profilo ancorato alla realtà di tutti i giorni. Una bella sorpresa dunque dalla Norvegia, che rivede la formula del thriller in maniera intelligente e di stringente attualità, regalando anche suggestioni di respiro civile-educativo. “The North Sea” è consigliabile, problematico e per dibattiti.