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Padre Carmelo Di Giovanni, un pallottino a Londra: “Viviamo le parrocchie con le porte aperte”

Elisabetta Gramolini

Non ha mai fatto “vita da sagrestia” padre Carmelo Di Giovanni nei suoi 43 anni vissuti a Londra. Nella parrocchia di Saint Peter non c’erano orari né chiusure. Anzi. Come suggerisce il titolo del suo ultimo libro, “Una porta aperta. 4 Back Hill, Londra” (Ancora edizioni), barriere per tenere lontani anche gli indesiderabili non ce ne erano.Nel testo il religioso pallottino ripercorre gli anni più duri, segnati dal fiume di droga che avvelenava la metropoli ma anche le redenzioni e gli incontri con gente comune o celebre.L’avventura inglese comincia nel 1970, quando giovane sacerdote viene spedito nella capitale del Regno Unito. All’inizio conosce i primi immigrati italiani arrivati per lavorare sodo. Poi negli anni “I giovani – racconta – venivano attratti dalla Londra dei sussidi e dalla promessa della libertà assoluta. Spesso erano già tossicodipendenti o malati di Aids in Italia. Altri lo sono diventati dopo. Morivano in strada o nei bagni pubblici”.Contemporaneamente padre Carmelo si reca nelle carceri, come cappellano per i detenuti cattolici. Anche qui la presenza dei giovani immigrati italiani è rilevante.“Una volta usciti dal carcere i ragazzi bussavano alla parrocchia. Abbiamo rischiato tanto perché la porta aperta ha condotto anche a dei contenziosi con la polizia. Ma credevo che fosse una parte fondamentale della nostra funzione accogliere tutti. Gesù incontrava la gente per la strada mentre noi abbiamo paura di uscire. Credo però che stia nascendo ora una Chiesa più nuova, più bella”.

Altro capitolo della vita di questo religioso dal sorriso solare è quello segnato dal terrorismo.Negli anni di piombo in Italia e poi nelle carceri inglesi, padre Carmelo entra in contatto con tutti: i brigatisti, i Nar, gli appartenenti all’Ira irlandese e poi all’organizzazione basca Eta. “Quando li incontravo nelle carceri mi chiedevo: possibile che siano le stesse persone che hanno ucciso a sangue freddo? Come un drogato che ruba e violenta non è lui.È difficile stare in mezzo a tutti ma con loro e con i tossicodipendenti ho capito il significato del Dio che si sporca le mani e che sta nella spazzatura.Ognuno deve stare nell’umiltà che è la strada che conduce a Dio. La vita vista in questo modo è bella”.

Padre Carmelo non si nasconde: appena ordinato, negli anni ’70, era considerato una testa calda. “Avevo voglia di fare giustizia per la gente. Anche la Chiesa la vedevo troppo vicina ai forti. Erano anni burrascosi e i superiori mi spedirono a Londra”.

L’esperienza del carcere gli impartisce lezioni dure ma anche la speranza tradotta nel St. Peter’s project, il progetto nato per aiutare i malati, i tossicodipendenti e i detenuti.“È stata un’esperienza varia e ricca – dice -. La parrocchia aveva realmente una porta aperta come il cuore di Cristo. Il rischio c’era. Ma siamo chiamati a rischiare. Gesù non è mieloso. A volte è anche duro, non approva tutto”.

Nella foto scelta per la copertina del libro, il parroco è ritratto di spalle mentre apre la porta di una cella: “È quella del carcere di Londra. Quando andavo a trovare i detenuti, quelli in prigione per terrorismo pensavano che fossi una spia perché avevo tutte le chiavi che il direttore mi metteva a disposizione. Anche quando conducevo con me personalità in visita potevo trasferire i detenuti per gli incontri. Tutti, specie gli italiani, erano stupiti per la fiducia che il sistema inglese di giustizia mi accordava”.

Sono centinaia i ragazzi che padre Carmelo ha seguito in percorsi tortuosi che a volte si sono interrotti bruscamente.Altre volte hanno portato alla grazia della riconciliazione: “Il Signore è stato grande – ricorda – ci ha fatto contemplare delle meraviglie. Anche chi è morto lo ha fatto nella pace di Dio. È stata una esperienza dolorosa e allo stesso tempo luminosa perché molti giovani si sono avvicinati alla fede. Sono tornati alla famiglia e alla società”.

L’esperienza di padre Carmelo ha subito anche uno stop. Nel 2001, quando muore improvvisamente padre Roberto, l’altro parroco che lo affianca, il religioso rimane solo. In più un ragazzo tossicodipendente e con problemi psichiatrici lo perseguita e lo minaccia di morte: “Era divenuto un maniaco religioso, io dovevo essere la sua vittima sacrificale. A un certo punto non ho retto più e sono tornato in Italia. È stato un colpo molto duro ma fa parte dei rischi della vita”.

Poi la rinascita. Nei primi anni duemila, la parrocchia e Londra si riempiono di giovani professionisti italiani: medici, ricercatori, ingegneri fuggiti dal Paese per la mancanza di opportunità.“Era una meraviglia vedere 6-700 giovani che cantavano, suonavano in chiesa. Ora in tanti si sono trasferiti in altre città nel mondo. A Milano, abbiamo appena fatto una riunione con alcuni dei giovani di allora. È stato bello”.

Oggi padre Carmelo vive ad Ostia. All’inizio, nel 2013, il ritorno in Italia è stato traumatico: “mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Ho trovato difficile adattarmi anche ai mezzi pubblici. Ho ripreso il lavoro a Regina Coeli dove ho incontrato papa Francesco che amo da morire, è l’uomo di Dio. È maltrattato perché purtroppo la Chiesa è piagata dalla ipocrisia”.

Infine, fra gli incontri che passa in rassegna nel libro, spicca quello con Madre Teresa di Calcutta. “Veniva spesso a Londra. Era una donna meravigliosa dall’aspetto fragile che emanava una luce spettacolare. Per me è stato un punto di riferimento forte”.

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