Giovanni M. Capetta
Anche in quello scrigno di sapienza e poesia che il libro dei Salmi è possibile trovare dei precisi riferimenti alla famiglia. Del resto essi sono preghiere che scaturiscono dal cuore dell’uomo in tutte le situazioni della vita. Sono canti di gioia, sono lamenti profondi nel dolore, sono interrogativi sul perché della vita, del bene, del male, della sofferenza; sono richieste di perdono o intercessioni. Essi costellano la vita dell’ebreo credente e ancora oggi, nella Liturgia delle Ore, scandiscono la vita del cristiano che voglia seguirne il ritmo con Lodi, Vespri e Compieta.
I salmi entrano nella vita di tutti i giorni, ne tessono le fila, aiutano a leggere la trama della nostra quotidianità dando senso anche ai passi e ai gesti più semplici. Spesso – penso alla lettura che ne fanno i sacerdoti – possono essere recitati nel segreto della propria stanza, nell’intimo della propria vita di preghiera, ma assumono un valore e una pregnanza liturgica molto forte quando vengono cantati da un coro, ovvero da una porzione di popolo che si affida al suo Dio, scandendo il tempo e le stagioni e molti sono i luoghi – monasteri o conventi – in cui questo ancora avviene con la saggia bellezza che deriva da una tradizione millenaria. Sarebbe bello che la lettura dei Salmi, almeno talvolta, faccia parte anche della preghiera comunitaria che la famiglia riesce a ritagliarsi nei tempi caotici e discordanti in cui essa è inserita. Spesso non ci si trova neanche tutti insieme per mangiare, il lavoro, lo studio e gli impegni extrascolastici portano le famiglie, soprattutto le più numerose, ad assomigliare al crocevia di una strada in cui le auto, ovvero le persone, si sfiorano ma non si fermano, né si incontrano mai. Ecco, la lettura di un Salmo, uno solo, lentamente, insieme, meditando ogni verso e magari lasciando uno spazio per le risonanze di ognuno sarebbe una sfida piccola ma grande nello stesso tempo: un segno controcorrente di discontinuità rispetto al fluire monotono o frenetico del tempo. Penso in questo momento al Salmo 78, anche solo a questi due suoi versetti: “Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto”. C’è in questa esortazione gioiosa tutta la verità di una famiglia che si affida al Signore per camminare secondo le sue vie. Si legge l’umiltà di un padre e di una madre che riconoscono che il principale modo per rendere grazie del dono della vita dei figli è trasmettere loro la fede che hanno ricevuto. La famiglia è il luogo per eccellenza in cui, prima ancora che attraverso la grazia sacramentale del Battesimo, si riceve il dono della fede. È come se succhiassimo l’amore di Dio dal seno materno, come un latte dal sapore particolare, un latte che sa di gratuità, sa di preghiere di lode sussurrate dalla madre al piccolo che ha fra le braccia. E così quanto può avere valore per un bambino sentire suo padre cantare le lodi del Signore?! Quanta fiducia, quanto coraggio, quanta speranza vanno a nutrire l’anima ancora tutta da plasmare di quel piccolo uomo desideroso di diventare grande? Solo in un secondo momento la fede si fa consapevolezza e ci sarà il tempo dell’assunzione di responsabilità: per i ragazzi ebrei il Bar mitzwah intorno ai 13 anni… per i figli della Chiesa Cattolica il momento della confermazione o cresima. È bello pensare che la nostra fede sia affidata alla Parola della Bibbia, ma che questa parola non rimanga chiusa in un libro. Essa per i cristiani si è fatta carne in Gesù e lui stesso ci chiede di partecipare col nostro racconto alla buona notizia che è il Vangelo. Passa dalle nostre mani, dalle nostre gambe, dai nostri cuori per rinnovare di generazione in generazione lo stupore per le meraviglie compiute da Dio.