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Copercom. Il neo presidente Di Battista: “Trovare un terreno comune per parlarci”

Elisabetta Gramolini

Un giornalista di lungo corso, con la passione della scienza e della meteorologia, che ha alle spalle anche delle incursioni nella ricerca sul campo riguardo ad un tema attualissimo come il cambiamento climatico. È Stefano Di Battista (61 anni), eletto nuovo presidente del Copercom ieri a Roma. Da 25 anni, il Coordinamento rappresenta 29 associazioni del settore della comunicazione che hanno in comune l’ispirazione cristiana. Come invita a fare il Papa nel suo Messaggio in occasione della prossima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, Di Battista intende ascoltare le tante anime che compongono l’organismo mettendosi in relazione anche con gli altri media.

Nel suo primo messaggio da presidente ha detto di volersi porre “nella prospettiva dell’ascolto e del recupero dell’identità” del Coordinamento. Qual è secondo lei oggi l’identità del Copercom?

Il Copercom è stato fondato 25 anni fa. La comunicazione nel frattempo ha subito uno stravolgimento. Ieri mattina sia il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, sia il direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della Cei, Vincenzo Corrado, hanno ricordato le parole del Papa che ha invocato un cambio di paradigma. Vanno quindi rivisti i fondamenti. Cosa comunicare oggi? Con quali modalità? E soprattutto, le 29 realtà che fanno parte del Copercom cosa hanno in comune da dire al resto del mondo ma innanzitutto a loro stesse? La comunicazione si gioca sempre su un intra e un extra: cosa abbiamo da dirci fra di noi? Al di là delle attività coltivate da ognuno

non è così scontato che si trovi un terreno comune per parlarci.

Prima di tutto dobbiamo conoscerci di più.

Questo intento come si tradurrà?

Farò un’indagine conoscitiva con i vari presidenti anche sul piano dei numeri. Queste 29 associazioni che popolo rappresentano quantitativamente? Non è una questione al fine di fare lobbying.
Rispetto alla narrazione che va per la maggiore sugli organi di informazione, l’ispirazione cristiana è minoritaria ma una certa potenzialità esiste anche se è dispersa. Uno dei compiti del Copercom dovrebbe essere recuperarla in un’ottica di sinodalità. Il Sinodo è appena cominciato e in questo tempo il Copercom cercherà di fare la sua parte.

Ha dei riferimenti nello svolgimento di questa attività?

Ci sono tre personaggi che faranno da filo conduttore per me in questo nuovo ruolo al Copercom. Il primo è mons. Domenico Pompili, che ho incontrato per la prima volta nel 2011 quando allora era segretario della Cei. Il secondo è l’ex presidente per due mandati, Domenico Delle Foglie, e poi l’uscente, Massimiliano Padula. Loro mi hanno dato delle coordinate su cui vedrò di costruire la mia esperienza per i prossimi tre anni. Anche con Delle Foglie ci ponevamo la questione dello scambio con gli altri giornali non di ispirazione cattolica. Non penso che il coordinamento debba essere diverso dagli altri ma deve cercare di

mettersi in relazione con gli altri.

È un compito arduo, quasi impossibile ma spero che lo Spirito Santo mi dia una mano.

L’ascolto è il tema scelto da Papa Francesco per la 56ª Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali. Ai giornalisti il Pontefice dice: “Ascoltate”. Come tradurre questa indicazione nelle attività del Copercom?

Nel mondo di oggi l’ascolto è una delle cose più difficili da mettere in pratica. Ognuno di noi deve educarsi ad ascoltare.

Ascoltare comporta prima di tutto ascoltare chi ti sta vicino. Nel Copercom c’è un comitato esecutivo in cui ognuno porta le proprie esperienze molto diverse. Se il presidente pensa di poter fare da solo ha già fallito in partenza. Questa cosa è facile da dire ma poi nella pratica mi chiedo se sarò in grado di assolvere. È chiaro che chi ha responsabilità abbia un suo piano ma quello che ci chiede Papa Francesco è di avere la duttilità per inserire degli elementi derivanti dal rapporto con gli altri.

Lei proviene dalla stampa scientifica, fra l’altro si è occupato di cambiamento climatico collaborando con i ricercatori che studiano il clima antartico.

Sì, mi sono sempre occupato di questi temi, lo faccio soprattutto per passione. Non so se questo avrà degli effetti sulla mia attività, vedremo.

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