Introduzione
Hans Urs von Balthasar, uno dei più grandi teologi del Novecento, riguardo allo scrittore francese Charles Peguy ha affermato: «Non si è mai parlato così cristiano». L’acuta affermazione prende le mosse dal fatto che il modo di scrivere di Peguy è molto carnale, poiché il celebre autore vede in ciò che è pienamente umano la massima manifestazione del divino. Una tale concezione corrisponde alla visione cristiana della vita, intrisa fino al midollo di quotidianità, di ferialità, di personaggi semplici: basta pensare alle parabole di Gesù che hanno sempre per sfondo la vita ordinaria della gente del suo tempo, impegnata nell’attività agricola o della pesca. Si può dire che il Nazareno abbia veicolato il messaggio del Regno di Dio attraverso figure e immagini attinte dal “regno degli uomini”. In tal senso, quello che Balthasar ha affermato nel campo della letteratura di Peguy, si può tranquillamente asserire di Caravaggio nel campo dell’arte: mai prima di Michelangelo Merisi fatti, circostanze, luoghi, compagnie di amici hanno così prepotentemente influito sulla produzione artistica di quei pittori che con il loro talento hanno avuto la pretesa di parlare del Mistero di Dio attraverso il loro genio. Alla luce di queste considerazioni ci accingiamo a leggere le prime due opere pubbliche di Caravaggio, la Vocazione di San Matteo e il Martirio di San Matteo, in un modo nuovo e originale. Come cercheremo di documentare, il pittore lombardo ha messo in scena due episodi dell’apostolo Matteo, legandoli a una vicenda strettamente personale. Partiremo proprio da questo episodio per capire, poi, il peso che esso ha avuto nella realizzazione delle due celeberrime tele.
Il processo del luglio 1597
Caravaggio, nei primi anni del suo soggiorno romano, pur essendo estraneo ai fatti, fu coinvolto in un processo. La sera dell’8 luglio 1597 il musico Angelo Zanconi stava rientrando nella propria abitazione in via Pozzo delle Cornacchie – a poche decine di metri dal luogo dove oggi si trova la Chiesa di San Luigi dei Francesi – quando fu assalito da degli sconosciuti. Durante la colluttazione Zanconi perse il ferraiolo, un capo d’abbigliamento tipico dell’epoca che aveva la foggia di un lungo mantello. Questo indumento fu raccolto in un secondo momento da Caravaggio che lo portò nel luogo di lavoro del barbiere Marco Benni e di suo figlio Luca – ubicato dove oggi si trova Via di Sant’Agostino 15A – e lo consegnò al garzone Pietro Paolo Pellegrini che lì lavorava. Questi lo restituì al legittimo proprietario, ma, in quanto persona informata sui fatti, venne trattenuto presso il Tribunale del Governatore (che aveva sede presso Via del Governo Vecchio 1). Durante l’interrogatorio Pellegrini fece il nome di Caravaggio la cui posizione fu difesa da Costantino Spada, rivenditore di quadri presso la cui bottega in Piazza San Luigi dei Francesi il pittore esponeva i suoi dipinti. Costantino Spada fornì l’alibi grazie al quale Caravaggio fu riconosciuto totalmente estraneo ai fatti. Sentiamo le sue parole: «Mentre io serravo la bottegha martedì passato, come ho detto, passorno de lì doi pittori uno è messere Michelangelo da Caravaggio ch’è pittore del cardinal Del Monte et habita in casa de detto cardinale, et un altro pure pittore chiamato Prospero, che non so de donde sia, ma habita lì vicino a monsignore Barbarino che sta sopra una bettola che fa cantone, che è di statura piccola de poca barbetta negra, d’età de 25 o 28 anni, quali me dissero se io havevo cenato, et io resposi di sì, ma loro dicevano non havere cenato et volere andare a cena all’hostaria della Lupa, dove andassemo tutti tre de compagnia et io me fermai lì con loro mentre cenorno et, cenato che hebbero, uscessemo da detta hostaria et ce inviammo verso casa mia tutti tre de compagnia».
San Matteo nell’Osteria della Lupa con Prospero Orsi e Costantino Spada
Nel 1599, due anni dopo il processo, Caravaggio fu chiamato a dipingere la Vocazione di San Matteo e il Martirio di San Matteo per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. Le due opere a nostro avviso costituiscono una sorta di revival di quanto accaduto la sera di quell’8 luglio 1597. Cerchiamo di dimostrarlo, partendo dalla Vocazione di San Matteo. Nel quadro compaiono in tutto sette personaggi. A destra Cristo e San Pietro sono rappresentati con fattezze e attributi iconografici tradizionali: i volti caratteristici, la veste rossa e blu di Gesù e del Principe degli Apostoli gialla e blu. Dei cinque personaggi seduti al tavolo, fino ad ora ne sono stati identificati tre. Nel volto di San Matteo possiamo riconoscere i lineamenti di Enrico IV di Navarra (si veda QUI), il re francese che il 25 luglio 1593, presso la chiesa di Saint Denis a Parigi, aveva abbandonato il calvinismo per riabbracciare la fede cattolica (si ricorderà la nota espressione «Parigi val bene una Messa»!). A lui Papa Clemente VIII aveva scritto nella bolla di riabilitazione parole che evidentemente hanno influito sulla realizzazione del dipinto: «Noi consideriamo la sovrabbondanza della grazia divina nella tua conversione e riflettiamo come tu, dalla più densa oscurità degli errori e delle eresie, quasi da un abisso del male, per un atto potente della destra del Signore, sia venuto alla luce della verità». Il giovane che poggia il braccio destro sulla spalla di San Matteo è il ventiduenne Mario Minniti, modello di Caravaggio presente in molte altre opere e conosciuto pochi anni prima presso la bottega del pittore siciliano Lorenzo Carli (che si trovava dove oggi c’è Via della Scrofa 80). Infine il giovane di spalle che sta per impugnare la spada è il diciannovenne bergamasco Francesco Bonieri, anch’egli sovente presente nella produzione artistica di Caravaggio (fig. 1) e coinquilino di Caravaggio quando il pittore abitava in quella che oggi è Via del Divino Amore 19. Sono invece rimasti nell’ombra dell’anonimato i due personaggi all’estrema sinistra (fig. 2). Grazie alla deposizione di Costantino Spada, possiamo pensare che il giovane seduto sia Prospero Orsi, essendo questo personaggio «di statura piccola de poca barbetta negra, d’età de 25 o 28 anni». Se infatti si immagina di mettere in piedi questo personaggio, si potrà constatare che egli in effetti non sia molto alto, il suo volto è adornato con un accenno di barba e l’età corrisponde a quella descritta nella testimonianza. Fra l’altro il modello sembrerebbe essere lo stesso che Caravaggio utilizzerà per dipingere la Vocazione di Paolo nella Cappella Cerasi. Invece la figura in piedi potrebbe essere proprio Costantino Spada, poiché sappiamo dalle fonti di archivio che Spada è nato nel 1543 e, dunque, nel 1599 aveva 56 anni, un’età compatibile con quella del personaggio raffigurato. Inoltre il gesto che sta compiendo, quello di inforcare gli occhiali, ci fa pensare al suo lavoro di intenditore e rivenditore di quadri, una sorta di Sgarbi di fine Cinquecento! Non possiamo poi dimenticare che la fortuna di Caravaggio è strettamente legata alla collaborazione professionale con Costantino Spada, poiché la bottega di quest’ultimo sorgeva fra le dimore del Cardinal Francesco Maria del Monte e del Marchese Vincenzo Giustiniani che da lì a poco sarebbero diventati committenti e protettori del pittore. Insomma, Caravaggio aveva più di un motivo per dipingere l’uomo al quale doveva – se si vuole, per banali circostanze – il suo successo. Grazie al legame con Costantino Spada, Caravaggio riceverà il compito di realizzare la Madonna dei pellegrini a Sant’Agostino: infatti la moglie di Spada, Caterina Gori, era la sorella del monaco agostiniano Giovanni Battista Gori che risiedeva presso il monastero di Via della Scrofa. Ma c’è di più: il luogo dove si svolge la scena potrebbe essere proprio quello dell’Osteria della Lupa dove Caravaggio, Costantino Spada e Prospero Orsi si erano recati a cenare quella famosa sera dell’8 luglio 1597. Ce ne accorgiamo dal particolare della finestra con una sola anta ad incasso: se ci si reca in Via dei Prefetti – dove l’Osteria della Lupa era ubicata fino al 1888 – si potrà notare che le finestre del palazzo sono del tutto simili a quella della nostra tela (fig. 3).
Il Martirio di San Matteo ambientato nella chiesa di San Nicola di Bari ai Prefetti
Passiamo ora al Martirio di San Matteo. Come è noto, nel dipinto si trova l’autoritratto – il terzo dopo quello del Bacchino Malato e l’altro presente ne I Musici – del Merisi. Generalmente si fa poco caso a quello che il Nostro indossa, ma il particolare è rilevante per l’argomento che stiamo trattando: Caravaggio porta sulle spalle un ferraiolo (fig. 4), proprio come quello che è al centro dei fatti dell’8 luglio 1597! A questo punto – anche se in questo caso non abbiamo alcuna prova documentale – l’anziano sull’estrema sinistra potrebbe essere il barbiere Marco Benni, il giovane che spalanca le braccia suo figlio Luca e il ragazzo di spalle il garzone Pietro Paolo Pellegrini, ovvero tutti personaggi che sono stati protagonisti o solo semplicemente menzionati durante il processo. Se la nostra interpretazione è corretta, Caravaggio ha legato la propria vicenda personale a quella che invece ha per soggetto l’apostolo Matteo. Ma non è finita qui. L’ambientazione nella quale si svolge la scena richiama in maniera piuttosto evidente un luogo che si trova praticamente attaccato all’Osteria della Lupa, ovvero la chiesa di San Nicola di Bari ai Prefetti. Se si entra nella chiesa non si può fare a meno di notare che l’altare è proprio quello raffigurato nel martirio di San Matteo. Nel nostro dipinto infatti l’altare è sopraelevato e posto in corrispondenza del terzo gradino, mentre San Matteo e il suo carnefice occupano lo spazio del primo gradino. Inoltre se osserviamo il paliotto possiamo scorgere una croce, anche se di carattere più semplice rispetto a quella reale dell’altare di San Nicola (fig. 5).
Caravaggio e l’eucaristia ricevuta il 10 aprile 1605
La chiesa di San Nicola dei Prefetti è legata a un altro episodio della vita di Caravaggio. Infatti, come è attestato nello Stato delle Anime – una sorta di registro dove dovevano essere riportati tutti i fatti più importanti relativi alla vita religiosa dei parrocchiani – Caravaggio ricevette la Santa Comunione la Domenica di Pasqua del 1605, che quell’anno cadeva il 10 aprile. La scoperta è relativamente recente, sembra però che non sia stata fino ad ora notata una coincidenza e cioè che in quello stesso giorno veniva incoronato Papa Leone XI, al secolo Alessandro di Ottaviano de’ Medici di Ottajano, che nel 1593 aveva fortemente influito sulla conversione di Enrico IV, come anche documentato nel suo fastoso monumento funebre in San Pietro in Vaticano. Il nuovo pontefice, eletto il precedente primo aprile, risultava dunque particolarmente gradito al partito filofrancese della Curia, di cui faceva parte il Cardinale Francesco Maria del Monte, protettore di Caravaggio. L’avvento di una tale figura al Soglio di Pietro poteva avere delle implicazioni fortemente positive per la fortuna artistica e lavorativa di Caravaggio e possiamo immaginare dunque che la Comunione del 1605 sia una sorta di ringraziamento a Dio per avere dato alla Chiesa questo preciso tipo di pastore. Ma le speranze del partito francese e dello stesso Caravaggio si sciolsero come neve al sole in pochi giorni. Infatti il 17 aprile, durante la presa di possesso di San Giovanni in Laterano, Cattedrale di Roma, Leone XI si raffreddò in maniera molto seria al punto che il 27 aprile venne a mancare. Il successivo 16 maggio il cardinale Camillo Borghese divenne Papa col nome di Paolo V, capovolgendo l’assetto politico nella Città Eterna, visto che egli apparteneva al partito filospagnolo.
Quale fonte letteraria per il Martirio di San Matteo?
Torniamo alla figura di San Matteo: se prestiamo attenzione notiamo che l’apostolo sta cadendo con il braccio sinistro nel fonte battesimale antistante l’altare, mentre con la mano destra afferra la corona di gloria. Questi particolari ci hanno richiamato alla mente le parole di Rm 6,3-11 con le quali San Paolo richiama i cristiani alla speranza certa che dopo le tante tribolazioni, i discepoli prenderanno parte alla gloria di Cristo e che dunque queste potrebbero essere la fonte letteraria che ha ispirato Caravaggio. Leggiamo infatti: «O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui (vicinanza di Matteo all’altare, luogo della presenza reale di Cristo dove si celebra il memoriale della sua morte) con una morte simile alla sua (Matteo muore con le braccia spalancate come Cristo in croce), lo saremo anche con la sua risurrezione (Matteo riceve la palma della gloria). Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui perché fosse distrutto il corpo del peccato (Matteo è un anziano “crocifisso”), e noi non fossimo più schiavi del peccato (confronto Adamo Peccatore-Matteo Redento). Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù».