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San Benedetto, i diritti delle donne e la ferma convinzione che esse hanno la medesima dignità degli uomini

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Nel lontano 1963, San Giovanni XXIII scriveva nella sua Enciclica “Pacem in Terris” che il riconoscimento della dignità, rivendicato dalle donne, rappresentava un segno dei tempi con cui i credenti, dunque la Chiesa, dovevano necessariamente confrontarsi. A ribadire tale concetto, con determinazione  e convinzione, è stato Papa Francesco con la sua “Evangelii gaudium”, infatti: “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere”.

Il tema della parità di genere riproposto da Francesco nella Chiesa e nelle istituzioni dovrebbe aiutarci a percorrere un cammino che ad oggi risulta impervio e che sia capace di non ridurre tutto solo ad una questione di numeri, ma soprattutto di ruoli. Aumentare la rappresentanza femminile nella Chiesa, nella politica e nei Consigli di Amministrazione della aziende rimane solo un primo passo per raggiungere la parità. Gli strumenti adottati faticosamente in politica, come le “quote di rosa” e il “il voto di genere”, sono soluzioni che non risolvono il problema, e sono ben lontane dall’accorciare il divario, talvolta, alimentato da disuguaglianze e modalità di esclusione.

Tali modalità vanno contrastate, facilitando l’accesso a luoghi per un impegno sempre più stabile e continuativo delle donne nella vita pubblica, locale e nazionale. È necessario costruire una mentalità socio-culturale capace di aver cura delle esigenze di ciascuno con l’obiettivo di perseguire e raggiungere uno sviluppo del tessuto sociale ed economico davvero più equo e più sostenibile per tutti.

Eppure, nonostante la consapevolezza e i buoni propositi, le diseguaglianze permangono, in tutti i contesti, soprattutto nell’ambito lavorativo.

«[…] la disoccupazione femminile si mantiene costantemente più elevata della disoccupazione maschile; […] le donne, insieme ai giovani, rappresentano la quasi totalità degli impiegati nel lavoro nero […] le donne sono occupate in numero notevole in attività marginali, stagionali e temporanee […] il tasso specifico di attività femminile, anche se non diminuisce in modo rilevante, resta comunque fermo rispetto ad una ricerca di occupazione in continuo aumento».

Sono le parole di denuncia di una grande donna, Tina Anselmi, la prima a ricoprire il ruolo di Ministro della Repubblica. Con la sua passione politica, le sue competenze e la sua rettitudine, ha contribuito a cambiare il volto del nostro Paese, attraverso due grandi riforme: la Legge relativa alla parità salariale e di trattamento nei luoghi di lavoro e l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. La fotografia del mercato del lavoro femminile di fine anni ’70 che ci restituisce Anselmi è, in questo senso, impietosa e tremendamente attuale.

Infatti, stando ai numeri relativi al fronte dell’occupazione, durante la crisi pandemica, le più danneggiate sono state le donne. L’Istat ha certificato nei mesi passati una flessione complessiva dei posti di lavoro. Colpisce il fatto che il calo sia in larga parte concentrato sul versante femminile. Alla fine del 2020 le donne occupate sono diminuite di 99 mila unità, mentre tra gli uomini la flessione è stata di 2 mila posti di lavoro. Un fenomeno che descrive come la pandemia abbia allargato il problema della disparità di genere. Di fatto, l’emergenza sanitaria non sta facendo altro che amplificare quelle disuguaglianze che già caratterizzavano la struttura sociale pre-pandemica. Le donne, subiscono gli effetti della crisi e anche quando tutto sembra andare bene, la realtà è spesso un’altra. Nella maggior parte dei casi, anche il carico della cura della famiglia grava sulle loro spalle. Con lo “smart working” abbiamo assistito ad una vera e propria sovrapposizione del lavoro con gli impieghi casalinghi, senza più avere la possibilità di una separazione spaziale degli stessi.

L’analisi di Anselmi si spinge però oltre: non si tratta solo di combattere le discriminazioni formali, ma anche di promuovere, e rendere anzi desiderabile, il lavoro femminile. Il lavoro buono di cui oggi si discute deve in questo senso, oltre alle garanzie e alle tutele, recuperare le necessarie istanze di parità, di libertà individuale, sociale e culturale di cui si sente l’urgenza.

Quando le donne si sono impegnate nelle battaglie le vittorie sono state vittorie per tutta la società. La politica che vede le donne in prima linea è politica d’inclusione, di rispetto delle diversità, di pace. Basta una sola persona che ci governa ricattata, o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio. (Tina Anselmi)

Per costruire una nuova mentalità, più inclusiva e capace di dissipare le disuguaglianze è opportuno abitare  la politica. È necessario riabilitare la sua funzione educativa e formare donne e uomini appassionati e competenti.