Giovanna Pasqualin Traversa
Il 24 novembre il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge che introduce, dal 6 dicembre al 15 gennaio, anche in zona bianca, il cosiddetto Super Green pass, certificato verde limitato solo alle persone vaccinate o guarite dal Covid, necessario per entrare in ristoranti al chiuso, cinema, teatri o discoteche. Il Green pass “base”, ottenibile con tampone negativo – antigenico o molecolare – sarà obbligatorio dal 6 dicembre anche per alberghi, spogliatoi per l’attività sportiva, trasporto ferroviario regionale e trasporto pubblico locale. Ne parliamo con Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive al Policlinico Agostino Gemelli Irccs di Roma
Professore, qual è la sua opinione sul Super Green pass? E’ giusto diversificare tra vaccinati e non vaccinati, prevedendo un “doppio regime”?
Più che giusto o non giusto, in questa fase caratterizzata dalla diffusione di un virus molto contagioso, con la variante delta ad alta trasmissibilità, è indispensabile assumere delle misure. Chi è vaccinato corre molti meno rischi di ammalarsi rispetto a chi non lo è, e in caso di contagio ha meno probabilità di incorrere in forme gravi. Pertanto, aldilà delle opinioni di natura politica o giuridica nelle quali non desidero entrare,
una differenziazione tra chi è vaccinato e chi non lo è era nell’aria e trova ampia giustificazione dal punto di vista epidemiologico.
E’ d’accordo sulla riduzione della durata del certificato verde da 12 a 9 mesi?
Assolutamente sì. Anche perché non sappiamo se con la terza dose chiuderemo la partita o se sarà necessario ripetere periodiche somministrazioni.
Quale impatto potrà avere il Green pass rafforzato sulla diffusione del virus?
Ritengo un impatto positivo, ma potremo verificarlo solo nelle prossime due-tre settimane. Forse potrebbe indurre a vaccinarsi chi non lo ha ancora fatto, circa 7 milioni di italiani di cui più di 2 milioni e mezzo over 50, ossia persone che potrebbero sviluppare forme severe e quindi più a rischio di ricovero in ospedale e/o in terapia intensiva creando problemi anche per la gestione quotidiana di altre patologie, come avvenuto durante la prima ondata. Di questi 7 milioni di non vaccinati, solo una minima parte è costituita da “irriducibili”, contrari non solo a questa ma a tutte le vaccinazioni. Gli altri, la maggioranza, non hanno posizioni “ideologizzate” ma nutrono riserve nei confronti di questa vaccinazione, nonostante le evidenze mondiali dimostrino che se oggi non abbiamo più numeri impressionanti di decessi, gli ospedali e le terapie intensive non sono al collasso e possiamo avere una vita quasi normale, è solo grazie ai vaccini. Forse, chi non si convince con l’evidenza, sulla scorta delle restrizioni potrebbe essere indotto a cambiare idea.
Nei giorni scorsi è stato rilanciato l’allarme subvariante Delta plus, molto più contagiosa della variante Delta: un positivo sarebbe in grado di infettare addirittura 8-9 soggetti, contro gli 1-2 del virus originario e i 6-7 della Delta. C’è il rischio che “buchi” i vaccini?
La Delta AY4.2 è una sottovariante del ceppo Delta, per ora prevalente nel Regno unito. Da noi non ancora, ma va attentamente monitorata perché se non è più pericolosa della Delta è contagiosa come la varicella. A preoccupare è insomma la sua facilità di trasmissione: se incontrerà una platea di non vaccinati il contagio sarà maggiore anche del 10-20% rispetto all’attuale variante Delta. Per questo
è fondamentale proseguire con la campagna vaccinale e la somministrazione delle terze dosi, tenendo conto che ad oggi i vaccini mantengono intatta la loro efficacia.
Il Green pass “base” viene rilasciato a seguito di un tampone negativo, antigenico o molecolare. Qualcuno ha fatto notare che l’antigenico non è affidabile come il molecolare e che si corre il rischio di rilasciare certificati verdi sulla scorta di “falsi negativi”, ossia di positivi…
Indubbiamente l’affidabilità del tampone biomolecolare è superiore a quella dell’antigenico che può arrivare, a seconda del test, a dare una percentuale di falsi negativi anche del 30%. Sì, questo rischio esiste; secondo me qui c’è un bilanciamento con la necessità di eseguire un numero elevato di tamponi. In Italia se ne fanno fino a 600mila al giorno, con una prevalenza di tipo antigenico. E’ chiaro che in questo momento epidemiologico, con questa circolazione del virus, con questa percentuale di soggetti vaccinati, il tampone antigenico, che peraltro è molto migliorato rispetto a quelli che si facevano un anno fa, ha comunque una sua validità come screening generale.
Ogni tanto si sente parlare di nuovi vaccini in avanzata fase di sperimentazione o in dirittura d’arrivo. Come sta procedendo la ricerca?
Allo studio ce ne sono moltissimi; tra quelli in arrivo vi sono nuovi vaccini proteici che oltre allo Spike, contenuto nei vaccini a RNA messaggero come Pfeizer e Moderna e negli adenovirali come AstraZeneca, Johnson&Johnson e Sputnik, contengono la nucleoproteina e qualcuno anche la membrana, cioè altri componenti del virus. Questi ultimi potrebbero avere un vantaggio perché “mimano” meglio la malattia naturale dando una risposta non solo nei confronti dello Spike ma anche di altri componenti; il che potenzierebbe la risposta e li renderebbe meno influenzabili dalle variazioni dello Spike. In fase di sperimentazione avanzata, anche se se ne parla meno, sono anche dei vaccini orali o inalatori, che avrebbero il vantaggio di stimolare, oltre ad una risposta sistemica a livello del sangue, anche una risposta a livello della mucosa del naso e della bocca, consentendo quindi anche un’immunità locale che potrebbe essere utile per bloccare l’infezione.
Ieri l’Ema (Agenzia europea per i medicinali) ha dato il via libera al vaccino Pfizer per i bambini tra 5 e 11 anni, con una dose ridotta a un terzo rispetto a quella degli adulti: 10 microgrammi anziché 30 e un richiamo dopo 3 settimane.
L’approvazione dell’Ema segue quella della Fda; nel frattempo le vaccinazioni dei bambini sono iniziate negli Usa, in Israele e in Cina. Ora arriverà anche il via libera dell’Aifa. Questa vaccinazione ha come scopo prioritario la protezione dei piccoli che generalmente sviluppano forme non gravi, ma possono essere soggetti anche al Long Covid.
Non sappiamo inoltre se questo virus potrebbe mutare e causare forme severe anche nei bambini; è importante metterli in sicurezza.
Oltre a questa esigenza prioritaria, la vaccinazione dei bambini aumenterebbe l’immunità di gregge e ridurrebbe la circolazione del virus. Ora sarà strategico il ruolo dei pediatri per informare correttamente i genitori sull’importanza e la sicurezza di questa vaccinazione.
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