L’assemblea, si legge nel messaggio, è stata vissuta come “una vera esperienza di sinodalità, nell’ascolto reciproco e nel discernimento comunitario di ciò che lo Spirito vuole dire alla sua Chiesa”. Dalla “multiforme diversità”, i partecipanti all’Assemblea si sono “rivolti alle realtà che il continente sta vivendo, nei suoi dolori e nelle sue speranze”.
Il testo conferma e denuncia il dolore “dei più poveri e vulnerabili che soffrono il flagello della miseria e dell’ingiustizia”; anche “il grido della distruzione della casa comune” e la “cultura dello scarto”, che colpisce soprattutto donne, migranti e rifugiati, anziani, popolazioni indigene e afrodiscendenti”. L’Assemblea è ferita “dall’impatto e dalle conseguenze della pandemia che aumenta ulteriormente le disuguaglianze sociali, compromettendo anche la sicurezza alimentare di gran parte della nostra popolazione”.
Ma il documento chiama per nome anche i peccati intra-ecclesiali, come “clericalismo e autoritarismo nei rapporti, che portano all’esclusione dei laici, specialmente delle donne nelle istanze di discernimento e decisione sulla missione della Chiesa, costituendo un grande ostacolo alla sinodalità”. Insieme a questo, c’è la preoccupazione per “la mancanza di profetismo e di effettiva solidarietà con i più poveri e vulnerabili”.
Ma ci sono anche speranze, nate “dalla presenza dei segni del Regno di Dio, che conducono a nuovi cammini di ascolto e discernimento”. Il messaggio mostra il cammino sinodale come “spazio significativo di incontro e apertura per la trasformazione delle strutture ecclesiali e sociali che permettano il rinnovamento dell’impulso missionario e la vicinanza ai più poveri ed esclusi”.