Introduzione
Sono centinaia le persone che ogni giorno visitano la Cappella Cerasi – così chiamata da Monsignor Tiberio Cerasi che l’acquistò facendola divenire il luogo di sepoltura dei membri della sua famiglia – in Santa Maria del Popolo a Roma: fedeli e turisti sono calamitati dalle due celebri opere di Caravaggio ivi contenute, ovvero la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo. Tuttavia, per una piena comprensione di queste opere, bisognerebbe leggerle contestualmente agli altri tesori artistici realizzati da Annibale Carracci, Giovanni Battista Ricci e Innocenzo Tacconi. Infatti, una visione di insieme della Cappella Cerasi ci fa ipotizzare che l’intero progetto iconografico sia stato fortemente ispirato da quanto sancito durante la IV Sessione del Concilio di Trento tenutasi l’8 aprile 1546. Ci apprestiamo dunque ad interfacciare l’apparato iconografico della Cappella Cerasi con i testi del Concilio di Trento al fine di verificare la plausibilità della nostra ipotesi, tenendo presente che i Padri Conciliari stavano concentrando la loro attenzione sul rapporto che intercorre fra la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione, intenzionati a contrastare la visione luterana che vedeva come unica fonte della Rivelazione la Sola Scriptura.
I dipinti del primo vano
Iniziamo dunque questo inedito percorso visivo entrando nel primo vano (che potremmo chiamare “della Sacra Scrittura”) della Cappella Cerasi e fissiamo la nostra attenzione su quanto realizzato da Giovanni Battista Ricci. Sulla volta scorgiamo lo Spirito Santo, rappresentato da una colomba, che è il protagonista di questo primo vano in quanto ispira – come vedremo a breve – sia gli evangelisti nella composizione della Sacra Scrittura sia i Padri della Chiesa nel loro lavoro di interpretazione della Bibbia. Intorno alla colomba i quattro evangelisti stanno scrivendo i loro libri. Sono riconoscibili grazie ai rispettivi simboli: Matteo (angelo), Marco (leone), Luca (toro) e Giovanni (aquila). Sulla lunetta di sinistra Gregorio Magno indossa un piviale di color oro, mentre un angelo gli porge la tiara. L’indomito pontefice, in compagnia di Sant’Ambrogio, sembra che stia tenendo una pubblica lettura o una predica particolarmente ispirata. Sull’altra lunetta Sant’Agostino sta amabilmente disputando con San Girolamo che vediamo avvolto nella tradizionale veste di colore rosso porpora. Già da queste prime raffigurazioni possiamo sentire l’eco di quanto sancito durante il Concilio di Trento. Infatti, trattando di Sacra Scrittura, i Padri Conciliari hanno dovuto meditare sull’importanza nella vita della Chiesa della Vulgata – ovvero la traduzione della Bibbia operata proprio da San Girolamo – che «fra tutte le edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, deve essere ritenuta autentica […] nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione». La scelta di questi quattro personaggi – tanti quanti gli evangelisti a suggerire la stessa autorità – non sembra affatto casuale: Gregorio Magno è un Papa, Girolamo è un Cardinale, Ambrogio e Agostino sono Vescovi: essi rappresentano allo stesso tempo la Santa Madre Chiesa e la moltitudine dei Padri della Chiesa, incarnando il pensiero dei Padri Conciliari per i quali nessuno deve interpretare la Sacra Scrittura «contro il senso che ha sempre ritenuto e ritiene la Santa Madre Chiesa […] o anche contro l’unanime consenso dei Padri».
I dipinti del secondo vano
Inoltriamoci ora nel secondo vano (che potremmo chiamare “della Tradizione”) e continuiamo ad osservare in alto quanto dipinto da Innocenzo Tacconi, su disegno di Annibale Carracci. Se nel primo vano, come abbiamo detto, il protagonista è lo Spirito Santo, qui è Cristo. È lui che al centro della volta incorona Maria. È lui che a sinistra, rispondendo a Pietro che gli ha domandato: «Dove vai?», afferma: «Vado a Roma per essere crocifisso nuovamente». È lui, infine, che parla a Paolo, appena asceso al terzo cielo. Si noti che tutte e tre le scene appartengono alla Tradizione, ad eccezione dell’ascensione di Paolo, solo vagamente accennata (2 Cor 12, 2-5) e ampiamente ripresa nell’apocrifo Apocalisse di Paolo. Possiamo idealmente collegare queste ultime due scene che hanno per protagonisti gli apostoli Pietro e Paolo alle parole dei Padri Conciliari: «il signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni creatura […] per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi».
I dipinti di Annibale Carracci e Michelangelo Merisi
Veniamo ora ai dipinti più celebri contenuti nella Cappella Cerasi: l’Assunzione della Vergine di Annibale Carracci, la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo di Caravaggio. Ancora una volta dobbiamo constatare che i soggetti rappresentati provengono dalla Tradizione. Dell’Assunzione di Maria in cielo parla l’apocrifo Protovangelo di Giacomo, mentre della crocifissione a testa in giù del Principe degli Apostoli parlano gli Atti di Pietro. Per quanto riguarda la conversione di Paolo, essa è descritta tre volte negli Atti degli Apostoli (cfr. At 9,1-9; At 22,6-16; At 26;12-18), ma nessuna di queste tre pericopi parla di un cavallo come quello che appare con grande risalto nel dipinto di Caravaggio e che è invece menzionato negli Atti di Paolo. Il cavallo è allo stesso tempo un elemento allegorico, cioè che sposta la nostra attenzione su qualcosa di altro e di più importante rispetto al dato direttamente esperito. Infatti nel linguaggio simbolico cristiano (e non) esso rappresenta le passioni. Il cavallo dipinto da Caravaggio è di proporzioni enormi e sembra che sia egli stesso il protagonista del dipinto e non Paolo! In questa scelta figurativa possiamo trovare un’ennesima polemica antiprotestante: è come se il pittore avesse intenzionalmente calcato la mano su un elemento allegorico, tipico dell’esegesi patristica e medioevale, a discapito della lettura esclusivamente letterale portata avanti da Lutero. L’intero ciclo pittorico non ha al suo centro il Mistero di Dio, ma quello della Chiesa convocata da Dio (Conversione di San Paolo), votata al martirio (Crocifissione di Pietro) e destinata alla gloria (Assunzione della Vergine). Vengono così messi a tema l’origine divina, la missione di testimonianza e il trionfo finale della Chiesa, così aspramente contestata da Lutero. Allo stesso tempo le figure di Paolo, Pietro e Maria riaffermano rispettivamente tre punti della dottrina cattolica contestata da Lutero: la dulia dei Santi, l’aspetto istituzionale della Chiesa e l’iperdulia riservata alla Vergine.
Conclusione
Alla luce di tutto quello che abbiamo fino ad ora descritto a proposito dell’apparato decorativo dei due vani, leggiamo ancora una volta le parole del Concilio di Trento che ci sembrano la perfetta sintesi di tutto il ciclo pittorico: «seguendo l’esempio dei padri ortodossi (i Padri della Chiesa, ndr), con uguale pietà e pari riverenza (il Concilio, ndr) accoglie e venera tutti i libri, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento […] ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito Santo». Dunque possiamo affermare che l’intero apparato iconografico traduce in immagini la fede della Chiesa che venera allo stesso modo come fonti della Rivelazione tanto la Sacra Scrittura, quanto la Sacra Tradizione, anche se quest’ultima, a livello quantitativo, è predominante nella Cappella Cerasi, probabilmente in reazione al Sola Scriptura di Lutero.
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