M. Chiara Biagioni
La città che si illumina anche di notte, quest’anno vivrà un Natale con le luci spente. È l’immagine di Hong Kong utilizzata da padre Paolo Ceruti, missionario Pime, per descrivere il clima che si vive in queste ore in città. Si sono da poco chiusi i seggi delle elezioni indette per il rinnovo del Consiglio legislativo (LegCo), il parlamentino di Hong Kong, l’ex colonia britannica destinata a tornare sotto la sovranità cinese. Sono le prime elezioni che si sono tenute dopo le proteste anti-governative e con il nuovo sistema elettorale imposto da Pechino. Più di 4,5 milioni di abitanti erano chiamati alle urne ma alla fine hanno risposto solo 1,35 milioni di persone, facendo segnare una percentuale di partecipazione al minimo storico del 30,2%. “Hong Kong è una città illuminata a giorno anche di notte. È una meraviglia ammirare lo spettacolo delle tante luci accese nelle case. Stanno ad indicare che dietro a ogni finestra illuminata c’è una famiglia con i suoi sogni e i suoi desideri”, racconta padre Ceruti, aggiungendo subito: “il sentimento più diffuso che si respira in questi giorni ad Hong Kong è la mancanza di speranza per il futuro”.
“Questo Natale in tante case di Hong Kong, la luce sarà spenta”.
“Tanti (più di 90mila persone) – spiega il missionario – hanno lasciato la città per emigrare soprattutto in Inghilterra o in Canada; in altre case la luce sarà spenta perché davanti alle scelte del governo che, di fatto, limitano ogni tipo di opposizione, molti hanno perso la speranza che ci possa essere ancora un futuro per Hong Kong; le luci spente in altre case, sono legate ai problemi di sempre di Hong Kong, gli spazi ristretti, il lavoro senza orari, la solitudine degli anziani. Spero che nelle case di chi celebra il Natale, per ricordare la Luce che viene nel mondo per squarciare le tenebre, le luci restino accese, per ricordare a tutti che a vera Luce è sempre in mezzo a noi e per quanto le tenebre possano essere fitte, la sua luce è più forte”.
Sulla scia delle proteste anti-governative che dal 2019, si sono succedute negli ultimi tre anni con manifestazioni, anche violente, di piazza e nelle università, sono stati schierati 10mila agenti di polizia in tutta la città per consentire le elezioni senza intoppi. Secondo le regole imposte da Pechino, è stato di fatto impedito a tutto il fronte pan-democratico di partecipare alla competizione elettorale: per poter concorrere ad un seggio, ciascuno dei 153 candidati ha dovuto dare impegni di lealtà politica alla Cina e presentare un attestato di “patriottismo”. Di conseguenza agli attivisti pro-democrazia è stato impedito di candidarsi. Molti in realtà non hanno neanche potuto presentarsi in quanto in prigione o in fuga all’estero. Inoltre, dei 90 seggi del Consiglio legislativo, solo 20 erano aperti al suffragio universale, la metà rispetto a prima, mentre il resto è nominato da vari comitati e gruppi di interesse spettanti al regime cinese.
“Sono state le prime elezioni qui ad Hong Kong sotto la nuova legge sulla sicurezza nazionale e le prime dove i candidati hanno dovuto presentare una certificazione di ‘patriottici’ per poter partecipare”, spiega padre Ceruti. “Per questo motivo molti non sono andati a votare ma non hanno potuto dirlo perché è contro la legge, come è contro la legge votare scheda bianca o nulla”. Il voto ad Hong Kong infatti non è obbligatorio ma la legge punisce duramente chi incoraggia pubblicamente gli altri a boicottare le elezioni o incoraggiare forma di protesta attraverso discorsi o pubblicazione di materiali come e-mail o volantini. Si tratta di un crimine che prevede per legge una pena detentiva fino a tre anni. Ad oggi un totale di 10 persone sono state arrestate con questa accusa.“Dal 30 giugno 2020, da quando è entrata in vigore la nuova legge sulla sicurezza nazionale tutte le voci di dissenso sono state silenziate”, aggiunge padre Ceruti. “Questo è uno dei motivi per cui tanti soprattutto giovani famiglie con i bambini, decidono di lasciare Hong Kong ed emigrare”.Nel “silenzio” dei grandi media, la vita ad Hong Kong sta radicalmente cambiando. “Nelle scuole, dall’asilo fino all’università – fa sapere il religioso – è stata introdotta una nuova materia per educare i giovani all’amore della patria. Tutte le scuole devono proporre attività per insegnare cosa fare durante l’alzabandiera e l’inno nazionale”.
A seggi chiusi, ha preso la parola la governatrice di Hong Kong Carrie Lam che ha salutato con soddisfazione l’esito del voto. “Hong Kong è ora tornata sulla strada giusta del modello ‘un Paese, due sistemi’”, ha commentato Lam. “Non possiamo copiare e incollare il cosiddetto sistema democratico o le regole dei Paesi occidentali”, ha aggiunto, sostenendo che le nuove regole di voto sono state decise per consentire di ripristinare “la calma politica” in città. Oggi, lunedì 20 dicembre, Carrie Lam è attesa a Pechino dove, secondo i media cinesi, incontrerà mercoledì il presidente Xi Jinping e dovrà informare “i leader statali sul lavoro del governo locale fatto nel 2021 e sul progetto politico per il prossimo anno”.