Luca Jahier
Sin dagli esiti dei risultati delle elezioni europee del maggio 2019, e poi con l’insediamento della presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, l’Unione europea ha vissuto l’inizio di un nuovo Rinascimento.
Il processo di rilancio strategico europeo, rafforzato con le scelte fatte durante la pandemia, si voleva accompagnare con una stagione di un nuovo protagonismo dei cittadini europei, della società civile organizzata e dei poteri locali, che, insieme ai Parlamenti nazionali, aiutasse il Parlamento e il Consiglio europeo a raccogliere nuovi stimoli, priorità e indirizzi per il necessario ammodernamento delle politiche e delle modalità di presa delle decisioni. E che soprattutto desse una prospettiva consolidata alla buona energia di partecipazione che si era manifestata nella partecipazione alle elezioni europee. Era questo il progetto della Conferenza sul futuro dell’Europa, che doveva lanciarsi il 9 maggio del 2020, svilupparsi nel corso di due anni e consegnare delle proposte concrete, anche aperte alla riforma dei Trattati.
Purtroppo il Covid, assieme a una certa diversità di interpretazioni tra le istituzioni dell’Ue circa il senso e il fine di questo processo, ne hanno ritardato di un anno l’avvio e compresso lo svolgimento.
In attesa delle fasi conclusive della Conferenza, si può certamente registrare che è stata assai ridotta la mobilitazione delle forze della società civile organizzata, alle prese tutte con ben altre urgenze e priorità nei rispettivi territori, e di gran parte degli stessi Parlamenti. In pochi Stati membri il dibattito è stato avviato, e l’Italia è tra i pochi ad averlo fatto. Pienamente riusciti e di grande ricchezza sono stati invece i cosiddetti “Panel cittadini”, con il coinvolgimento diretto di circa 800 cittadini scelti in modo casuale e provenienti dai 27 Stati membri. Un esercizio che ha registrato un largo entusiasmo e una pregnanza di proposte. Una pagina davvero nuova.
Bisogna augurarsi che la sintesi finale e le proposte che la Presidenza della Conferenza consegnerà a Commissione, Consiglio e Parlamento e, soprattutto, l’esito che queste proposte avranno, in tappe non ancora definite, non deludano. Come ha detto Mattarella, “la Conferenza sul futuro dell’Europa non può risolversi in un grigio passaggio privo di visione, ma deve essere l’occasione per ridefinire con coraggio una Ue protagonista nella comunità internazionale”
È presto per trarre conclusioni e il successo andrà misurato sia sul processo che sui risultati.Del primo si è detto, della primizia preziosa di sperimentazione di democrazia deliberativa transnazionale, dalla quale si dovranno trarre lezioni importanti per il futuro, sia per le istituzioni che per le forze organizzate delle rappresentanze sociali ai vari livelli. Questa innovazione di processo non sia considerata una tantum, ma riprendendo la proposta che già formulammo assieme al Presidente del Comitato delle Regioni nel dicembre del 2018, diventi un processo ordinario annuale, dallo Stato dell’Unione a quello dell’anno successivo.
Per i risultati, invece, i rischi di scarso impatto sulle politiche e sulle riforme istituzionali restano quanto mai rilevanti. Anche perché non vi è stata molta eco nei media e nella più vasta opinione pubblica.
Per questo credo si debba lavorare almeno su due fronti.
Il primo, un coraggioso impegno della Presidenza della Conferenza – garantita su basi eguali da Commissione, Consiglio Ue e Parlamento – di assumere le proposte che verranno portate a sintesi nelle ultime plenarie e di non annacquarle in uno sterile esercizio di mediazione diplomatica. E di portare il rapporto finale in discussioni vere all’interno delle sedi istituzionali, il collegio dei Commissari, il Parlamento e il Consiglio, i quali si esprimano in modo formale.
Il secondo fronte: nel quadro della Presidenza francese in corso, il Presidente Macron assuma le conclusioni, ne tragga alcune proposte maggiori, sia in termini di priorità politiche e anche di possibili (poche) riforme istituzionali e proponga l’apertura di una seconda tappa, da concludersi sotto la Presidenza spagnola nel secondo semestre del 2023. Le conclusioni di quella tappa potrebbero orientare il dibattito della campagna elettorale europea della primavera 2024.
Insomma, forse la via del Rinascimento europeo intrapresa subirà qualche significativa battuta di arresto, nell’anno che viene, ma non finirà sugli scogli e non sarà travolta dalle tempeste, se si saprà mantenere la rotta intrapresa e la sua velocità di crociera; come anche rafforzare il sentimento di fiducia crescente dei cittadini di ogni angolo d’Europa, come registra l’Eurobarometro, con decisioni chiare e concrete su ciò che conta e urge (ieri la salute e i vaccini, oggi le risposte all’impennata dei prezzi del gas e la giusta ripartizione dei costi della transizione green e digitale).Per questo è necessaria una rinnovata, forte, unitaria e lungimirante azione delle principali forze politiche, sociali, economiche, culturali e spirituali europee.Spalancare porte, finestre e portali della partecipazione strutturata della società civile è sempre una grande boccata di ossigeno per la nostra democrazia europea e soprattutto consente che l’Europa continui ad essere luce e traino per “curare” la terra. Insomma la culla di un nuovo Rinascimento.
0 commenti