La facoltà di un membro di un istituto religioso che ha pronunciato i voti perpetui di vivere temporaneamente fuori del chiostro può essere concessa, “per grave causa”, per non più di cinque anni, “Facoltà concessa a un membro di un istituto religioso di vivere temporaneamente fuori del chiostro”. È quanto dispone il Motu Proprio del Papa “Assegnare alcune competenze” sulla cosiddetta esclaustrazione, la cui eventuale proroga “è riservata unicamente alla Santa Sede, oppure al vescovo diocesano se si tratta di istituti di diritto diocesano. Il vescovo eparchiale non può concedere questo indulto se non per un quinquennio”. Per quanto riguarda il professo temporaneo che “per grave causa” chiede di lasciare l’istituto, la competenza del relativo indulto è del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio, “sia che si tratti, per il codice latino, di istituto di diritto pontificio, o di istituto di diritto diocesano, oppure di un monastero sui iuris; sia che si tratti, per il codice orientale, di un monastero sui iuris, o di un ordine, oppure di una congregazione”. Per un monastero “sui iuris”, cioè autonomo, l’indulto, per essere valido, deve essere confermato dal vescovo. “Colui che durante i voti temporanei – si legge nel Motu Proprio – chiede per una grave causa di lasciare l’ordine o la congregazione, può ottenere l’indulto di separarsi definitivamente dall’ordine o dalla congregazione dal Superiore generale col consenso del suo consiglio e ritornare alla vita secolare”.
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