Il sistema messo in atto fino ad oggi dal governo di Hong Kong era molto rigido. “Qui, se una persona è positiva – spiega il missionario italiano -, non può restare a casa, deve andare subito in ospedale. D’altronde le case ad Hong Kong sono piccolissime. Si vive tutti insieme, spesso in un’unica stanza. Si va a casa giusto per dormire. Inoltre, se una persona è positiva, scatta immediatamente l’allerta e, nel posto dove vive, devono fare tutti il test obbligatorio e in un condominio possono vivere anche 1.200/1.500 famiglie”. La crescita dei numeri dei contagi ha mandato in tilt il sistema e per non intasare gli ospedali, da lunedì scorso il governo ha aperto 7 “medical center” ai quali chi ha sintomi Covid deve telefonare. Alla chiamata, ti vengono a prendere a casa addirittura con dei taxi speciali.
“La gente è spaventata, arrabbiata, rassegnata ma il clima che si respira è legato anche ad altri fattori”, spiega il missionario. “Sono due anni, e non per il virus, che la gente è provata, ha perso la speranza, crede che non ci sia più futuro. Il Covid è solo una cosa in più. Tanti stanno andando via: chi può lascia la città. Ma tanti vogliono anche restare. Questa situazione è esplosa a fine 2018 inizio 2019 con le proteste contro il governo per la legge sulla estradizione e da quel momento la società si è spaccata in due”.
Dalla prossima settimana, da giovedì 24 febbraio, scatterà l’obbligo del greenpass e quindi l’obbligo di vaccinazione per entrare nei supermercati, nei centri commerciali, nei posti pubblici, le poste e le banche. I ristoranti, dalle 18 in poi, possono fare solo asporto. Le scuole hanno chiuso prima del Capodanno cinese all’inizio di febbraio e almeno fino al 7 marzo le lezioni saranno online. Regole cambiate anche per l’accesso ai luoghi di culto.La diocesi di Hong Kong ha diffuso nuove misure di restrizione con la chiusura, dal 10 febbraio fino al 23 febbraio, di chiese, cappelle e centri e sospensione delle messe “pubbliche”, delle funzioni eucaristiche e di ogni altro raduno in presenza. “Ci sono state molte campagne per la vaccinazione”, racconta padre Paolo, “ma la popolazione è restia, soprattutto quella anziana, legata alla medicina tradizionale. Molti non si sono vaccinati anche per opposizione alle direttive del governo”. Sul sito della diocesi, appare in evidenza un documento di informazione alla vaccinazione a cura del comitato diocesano di bioetica con l’approvazione del nuovo arcivescovo, mons. Stephen Chow Sau-yan. Il documento si articola in una serie di domande e risposte sul vaccino. “Per controllare la diffusione e l’impatto della pandemia – si legge nel testo -, l’igiene personale e le misure di protezione non sono sufficienti, un’alta percentuale della popolazione deve essere vaccinata per ottenere l’immunità di gregge”. “Vaccinarsi non solo previene il proprio contagio, ma è anche un atto di solidarietà e amore per il prossimo”.
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