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La Fontana dei Fiumi a piazza Navona: un “enigma” che nasce dal rapporto tra un gesuita e uno scultore

foto SIR/Marco Calvarese

M.Michela Nicolais

Qualcuno l’ha definita un’opera multimediale “ante litteram”, per la sua perfetta sinfonia tra le maestose figure scolpite nella pietra e il potente scroscio dell’acqua che incanta turisti e romani col suo richiamo sonoro irresistibile. È la Fontana dei Fiumi realizzata da Gianlorenzo Bernini in piazza Navona, sovrastata dall’Obelisco Pamfilio, al quale Paola Potestà – in un volume la cui pubblicazione è stata resa possibile grazie al contributo e all’impegno della Fondazione Ozanam-San Vincenzo de’ Paoli – dedica un saggio, dal titolo “Un enigma svelato?”, che a partire dall’opera Obeliscus Pamphilius di Athanasius Kircher (1602-1680) indaga nei misteri che avvolgono ancora oggi la straordinaria opera d’arte del Bernini. E lo fa proprio a partire dal rapporto tra l’erudito gesuita, considerato il padre dell’egittologia, e lo scultore principe dell’epoca barocca: fu Kirchner, infatti, a tradurre e interpretare i geroglifici riportati sull’obelisco della fontana, svelando le consonanze tra quest’ultimo e il significato dell’intero complesso scultoreo sottostante. “Far conoscere ad un pubblico più vasto ciò che agli studiosi è noto: nella celebre opera c’è una collaborazione importante con un gesuita, Athanasius Kircher, ignoto ai più ma che giocò un ruolo importante nella Roma barocca”. Così la storica dell’arte Clara Rech, durante la presentazione del libro di Potestà, ha sintetizzato il merito del libro, tracciando il profilo di un secolo, il Seicento, considerato a torto – come già era accaduto al Medioevo – un’epoca buia, e che invece soprattutto negli scenari romani appare come un’epoca di grande sperimentazione e fascinazione, tra arte, scienza ed esoterismo.

Nel 1650 Kirchner inaugura il Collegio Romano, e l’anno seguente viene inaugurata la Fontana dei Fiumi, commissionata da Innocenzo X la cui colomba, simbolo del casato Pamphili, era stata posta proprio per volere del gesuita sulla sommità dell’obelisco. Non solo come semplice omaggio alla committenza ma per sottolineare i richiami tra la dottrina cristiana e le dottrine ermetiche, il cui Corpus era stato riscoperto grazie alla traduzione di Marsilio Ficino. Sul legame tra l’ermetismo e la Fontana dei Fiumi si è soffermato mons. Carlo Dell’Osso, segretario della Pontificio Istituto di Archeologia cristiana, citando un passo del Pimandro (trattato IV), menzionato anche nel libro, in cui è scritto: “Dio ha riempito una grande coppa e l’ha inviata sulla terra e ha inviato gli uomini a battezzarsi per poter risalire vero l’alto”. Discesa e risalita, dunque, come percorso che non appartiene solo al dinamismo dell’Obelisco e della Fontana, ma rimanda al rapporto tra l’umano e il divino, tra l’uno e il molteplice, che nella religione cristiana diventa continuo rimando tra creazione e incarnazione. “Il Seicento è stato un secolo dotato di una capacità di penetrazione, di studio degli argomenti, di riflessione, di approfondimento che ci siamo col tempo dimenticati”, ha fatto notare Marco Ravaglioli, presidente dell’associazione Per Roma: “La Fontana dei Fiumi non è soltanto bella: è un documento di storia, di filosofia, di interpretazione teologica che arricchisce infinitamente il senso del monumento”. Poco distante da piazza Navona, c’è l’obelisco della Minerva, che i romani chiamano familiarmente “l’elefantino”. Ma sono in tutto 19 gli obelischi a Roma, di cui sei di epoca moderna. Un’occasione preziosa per guardare in alto e rimanere affascinati da enigmi e misteri di una città la cui bellezza continua ad attrarre turisti da tutto il mondo ma resta, purtroppo, spesso occulta proprio agli occhi di chi attraversa ogni giorno le sue strade e le sue piazze. Perché Roma, come scriveva Kircher cinque secoli fa, “è una città straordinaria, che riesce a sopravvivere anche all’incuria dei romani di oggi”.

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