MONTEMONACO – Giovedì 10 febbraio, presso l’ex chiesa di San Michele si è svolto l’evento di conclusione del progetto inter-diocesano “le Radici del Futuro” sostenuto da Caritas Italiana a favore dei territori colpiti dal sisma del 2016.
Un progetto partito da lontano e che vuole arrivare ancora più lontano – ha affermato Marco Sprecacè, moderatore dell’evento – che ha coinvolto tre diocesi di: Ascoli Piceno, Fermo e San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto.
L’obiettivo del progetto, avviato a marzo 2020, è stato quello di offrire un supporto e una vicinanza concreta agli abitanti dei luoghi del “cratere” attraverso azioni diversificate quali: mappatura dei territori per rilevazione bisogni, supporto psicologico, supporto genitoriale, formazione, supporto lavorativo, supporto alle parrocchie per oratori estivi, animazione per bambini e adolescenti, supporto didattico e laboratori esperienziali.
Durante l’incontro, aperto dai saluti istituzionali del sindaco Francesca Grilli e dal parroco don Luca Rammella, tutti i partner del progetto hanno raccontato la bella e intensa e attività progettuale, attraverso testimonianze, video interviste e analisi dei risultati emersi. Durane la tavola rotonda sono stati raccolti i seguenti interventi:
Mons. Bresciani (vescovo di San Benedetto del Tronto): Si è parlato di radici, le prospettive vengono dalle buone radici. Possiamo pensare che tutte queste cose siano già delle buone radici che producono buoni frutti e che questi frutti sono già le radici del futuro che promettono bene. Le prospettive del futuro infatti iniziano già a partire da ciò che noi abbiamo costruito nel presente: il futuro ha i suoi piedi nel presente. Sono grato a tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione di questo progetto. Ho sentito parlare anche di formazione. Il futuro non sta solo nella conoscenza, ma anche nella formazione, più ci impegniamo nella formazione di tutti più abbiamo la possibilità di costruire un futuro. Abbiamo visto le prospettive di esperienze di rete, il futuro non è nell’isolamento, l’andar da soli non porta alcun tipo di futuro. Nelle tre diocesi qui presenti io vedo già il futuro, non vedo il tipo di futuro, ma già radici di futuro. Il coinvolgimento del cammino di queste varie Caritas lo vedo come una radice positiva di questo futuro. Mettere in rete scuola, famiglia, istituzioni io le vedo come radici di futuro al di là delle singole iniziative, credo che queste siano radici feconde da coltivare e da far crescere. È vero che le comunità interne soffrono di molti problemi, ma hanno delle risorse che possono essere attivate solamente se ci si mette in rete. A me pare che anche per i territori disagiati possono avere motivi di speranza. A noi spetta il dovere di coltivarle e ci auguriamo che queste radici possano crescere e diventare un albero rigoglioso
Don Andrea La Regina (Caritas Italiana): Oggi rappresento Caritas Italiana e porto i saluti anche del direttore. La nostra era è un’era di ascolto e finora ho ascoltato con grande interesse, ripercorrendo ciò che è accaduto. Spesso l’intervento di Caritas italiano è vissuto come una forma di vicinanza e prossimità e questo è un fatto significativo e che è presente nello statuto di Caritas italiana. Tuttavia non dobbiamo immaginare che Caritas abbia la responsabilità in toto di ciò che avviene, ma è prima di tutto un atteggiamento di ascolto delle realtà che sono state colpite e il passaggio è avvenuto quando si è passati dalla mappatura dei territori agli incontri formativi avvenuti a Grottammare, a partire da un lavoro iniziale di analisi di tutti i territori coordinati da Suor Alessandra Smerilli, in collaborazione anche con l’Università di Roma. Importante era avvertire che in questi incontri, tutti i volontari e gli operatori che si sono resi disponibili avrebbero potuto costruire un futuro sulle radici culturali cristiane di questo territorio, ma avrebbero potuto anche guardare al futuro perché si partiva dalla comunità, perché il nostro impegno consiste nell’animare la comunità alla carità. Ricordo che una delle operatrici aveva proposto su come organizzare un sostegno personale ai parroci. Sostenere il parroco significava sostenere tutte le potenzialità della comunità che testimonia la presenza di Cristo, il quale ci ricorda, come dice Papa Francesco, che la Chiesa deve essere una chiesa in uscita, partendo dal vangelo, dai poveri e dalla creatività.
Mons. Pennacchio (vescovo di Fermo): Non è scontato che nelle nostre comunità ci sia continuità sui progetti. Mi chiedo sempre se è corretta l’impostazione che si va avanti solo quando ci sono i soldi. Il tema della sostenibilità è legato con quello della continuità, un concetto che dobbiamo fare nostro almeno fino a quando dura un’emergenza. Dall’essere un segno di progetto l’attenzione deve diventare parte integrante del patrimonio di una comunità. Investire soldi e persone nel campo del lavoro, della creatività significa porre le condizioni di questa continuità. Nella diocesi di Fermo su 30 tirocini attivati di giovani, circa una decina di giovani hanno trovato un inserimento nel mondo del lavoro. Pertanto sviluppare questi progetti in questa direzione investendo sui giovani e sul lavoro, significa porre le premesse in questa direzione. Si scopre che mettendo a frutto questi sogni, soprattutto nei giovani escono fuori delle ingegnosità, in questo modo devono essere orientate le radici del futuro. Tutto questo deve entrare a far parte del nostro modo di agire e questo significa allocare le risorse che non vengono solamente da Caritas Italiana, ma devono diventare parte del nostro ordinario di amministrazione. Se così non fosse la nostra azione diventerebbe solo assistenzialismo
Mons. Palmieri (vescovo di Ascoli Piceno): la mia risposta è si e la prova lo vediamo qui sta sera a ragionare sul nostro territorio a verificare le co-programmazioni e co-progettazioni e cercare di verificare di dare luce a quelle radici per dare luce al futuro. Il modo per co-progettare è un processo che richiede delle fatiche. Occorre sottolineare che un’attenzione davvero forte è il lavoro di rete che è una radice fondamentale di questo futuro e significa non muovere passi dopo che si è dialogato con tutti i soggetti. Ciò è faticoso ma è un elemento fondamentale per un cammino che intende essere sinodale. Un altro elemento importante è che i processi di progettazione siano veramente generativi, altrimenti il rischio è che si rimanga chiusi in sé stessi senza ali. Le radici sono importanti, ma senza ali non si è generativi. Solo così i processi vanno si muovono da sé. Io sono arrivato in questa diocesi solo da pochi mesi e sto osservando il territorio, vedo tante cose belle, ma vedo anche tante cose lasciate a metà. Sono rimasto colpito da un borgo medievale davvero meraviglioso con un piccolo museo, realizzato con dei fondi economici prima del terremoto, e già era vuoto. Era stato realizzato un borgo senza futuro e i pochi abitanti rimasti erano li e dicevano di essere sena futuro. Occorre avere buone radici, ma anche buone ali. Processi generativi che fanno partire altri processi che sono sognati custoditi e poi lasciarli andare da sé, questo significa essere una comunità cristiana, investendo come Caritas italiana, ma anche come comunità. Il territorio è meraviglioso, ma occorre guardare sia le radici ma anche il cielo per poter volare.
Marcello Pietrobon (Caritas Italiana): Siamo qui a sentire tutte le testimonianze e il ruolo di Caritas era solo quello di una testimonianza discreta per cogliere quegli elementi di bellezza, ma anche di riflessione e criticità serena. Mi è piaciuta molto la riflessione sul perché e sul come si sono fatte queste cose e in ciò si racchiude l’essenza della chiesa. È importante anche soffermarci sul cosa è stato fatto come in una sorta di rendiconto finale, potendo raccontare anche con dei numeri ciò che è stato fatto è una cosa veramente molto bella e importantissima. La solidarietà di tante persone è anche passata attraverso la piccola offerta che si è tradotta in questa importante iniziativa. La sostenibilità di una iniziativa deve passare necessariamente dalle comunità. Caritas italiana può mettere altre risorse, la diocesi di Bergamo ha deciso di sostenere la seconda parte di questo progetto ed è una cosa bella perché anche il racconto che è stato fatto attraverso queste relazioni è stato molto bello. Ci sarà sicuramente una possibilità, ma se questi progetti non ricadono su comunità che si vivificano poi questo la storia ce lo racconterà. Non si tratta di fare un’economia di scala, attraverso lo stare insieme si impara a divenire comunità. In questo modo si generano cose nuove. L’invito che mi sento di dare è quello di trasformare queste idee, rinnovandole e rilanciarle per costruire nuove progettualità e nuovi segni.