M. Chiara Biagioni
Si scappa. Anche se nessuna città, nessun posto è al sicuro. Don Sergio Palamarchuk, parroco della città Lysyčansk, nella regione di Lugansk, sta guidando la macchina mentre parla con il Sir. Con lui, a bordo, ci sono 6 persone e una mamma con due bambini. Dietro segue un’altra vettura dove ci sono due persone, marito e moglie, e due anziani. Stanno lanciando Muratove per andare a Lysyčansk, nella casa del parroco, dove al momento ma solo al momento la situazione è più tranquilla. Don Sergio sapeva che se fosse precipitata la situazione, questo sarebbe stato il “piano di evacuazione”. “Proprio ora stiamo scappando da Muratove”, dice, “perché ci sono troppe armi, vediamo mezzi militari, sentiamo molti rumori di bombardamenti e colpi di mortaio. La situazione lì non era più sicura. Molte famiglie sono già scappate con le proprie macchine e noi siamo gli ultimi a lasciare la zona. Alcuni però sono rimasti perché non sanno dove andare. Il problema ora è che sappiamo da dove scappare ma non sappiamo dove andare. Stiamo ricevendo brutte notizie su Kiev, su Kharkiv, per cui in questo momento nessuna città è sicura. Una volta arrivati a casa mia, a Lysyčansk, dobbiamo capire cosa fare e dove andare”. Don Sergio Palamarchuk, è parroco della chiesa greco-cattolica ucraina di Lysyčansk, nella regione di Lugansk e di Muratove. Mentre parla, viene fermato dai militari ucraini lungo la strada. La comunicazione si interrompe. Poi prende il telefono, richiama per dire un’ultima cosa: “grazie per la preghiera e chiediamo di pregare. Non smettete di pregare per noi. Questa è la cosa più grande, più importante. E poi un’altra cosa. Dobbiamo capire che questa non è una guerra contro l’Ucraina, ma una guerra nel cuore dell’Europa. Siamo stati attaccati tutti. È la guerra contro tutto il mondo. Pregate per noi in attesa che arrivino buone notizie, notizie di pace perché Dio è con noi e Dio è la nostra forza più grande. Lo preghiamo perché converta i cuori e li pieghi alla forza della pace e non delle armi”.
Erano le 4 di questa mattina (ore italiana), quando in una dichiarazione a sorpresa in televisione il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato l’avvio in Ucraina di un’”operazione militare speciale”, che è subito suonata come una dichiarazione di guerra de facto. “L’operazione militare russa – ha detto Putin – mira a proteggere le persone e le circostanze richiedono un’azione decisiva dalla Russia”. Alle parole del presidente, è seguito un attacco missilistico alle infrastrutture in tutto il Paese. È stata colpita anche la capitale Kiev. Raggiunto telefonicamente dal Sir, padre Andriy Zelinskyy, cappellano militare della Chiesa greco-cattolica di Ucraina, gesuita, racconta: “Alle cinque di mattina quasi tutto il paese è stato colpito dai missili e attacchi aerei. Kiev, Mariupol, Odessa, Kharkiv. Sono stati presi di mira gli aeroporti militari”. A Kiev, la gente si è spaventata. “La gente sta fuggendo da Kiev, c’è traffico per le strade perché le persone stanno cercando uscire dalla città. Altri invece sono andati nei rifugi. Non c’è panico ma c’è una vera guerra in atto. Sembra un film della seconda guerra mondiale. Basta vedere la mappa del paese con i punti presi di mira, per capire la portata dell’attacco e ciò che sta accadendo in queste ore. Ma questo è solo l’inizio. Questa è solo la prima ondata degli attacchi aerei. Ora stiamo aspettando le forze terrestri. E quello che già succedendo nella parte est del paese dove sono già in atto scontri”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha imposto la legge marziale nel paese. “Non si può uscire dalle case. Non funzionano gli uffici. Significa che si è fermato tutto”.
“È cominciata la guerra. A Kiev sentiamo esplosioni. Il presidente ha chiesto al popolo di non cadere nel panico però la situazione è difficile”. È la testimonianza di don Taras Zheplinskyi, capo redattore del Dipartimento di comunicazione della Chiesa greco-cattolica ucraina. “C’è paura ma le persone sperano che con il supporto della comunità internazionale Putin si fermi. Speriamo anche che Dio ci salvi dalla morte e dalle sofferenze. La guerra è cominciata”. Don Taras racconta al Sir queste ore concitate che si stanno vivendo a Kiev e del “piano” di azione che si è data la chiesa locale. “Non tutti lasciano la città, anche perché non tutti sanno dove andare. La Chiesa rimane con il popolo. I sacerdoti rimangono con la gente. Abbiamo già fatto questa esperienza con l’occupazione della Crimea e del Donbass. I sacerdoti continuano a svolgere il loro ministero. Quindi il nostro piano è uno solo: rimanere con il popolo”. Prima di mettere giù il telefono, anche don Taras ci tiene a dire un’ultima cosa: “Non smettete di pregare per l’Ucraina ma anche di chiedere azioni concrete per aiutare l’Ucraina a difendersi e salvare vite umane”.