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Sorelle Clarisse: Giù la maschera

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Siamo in tempo di Carnevale, un Carnevale ancora una volta tutt’altro che spensierato: la pandemia che non ci lascia, le pesanti difficoltà economiche in cui si trovano la maggior parte delle nostre famiglie, l’assurdità di una guerra generata solo da arroganza, prepotenza e nessun rispetto del fratello.

Ma ufficialmente è Carnevale, un tempo in cui tutti abbiamo provato o proviamo a giocare con le maschere. Un tempo che rende lecito far finta di essere qualcun altro giocando con i travestimenti, in cui, cioè, diventiamo tutti “ipocriti”, nel significato letterale del termine greco, cioè attori.

Tutto questo è un bel gioco, è un divertimento momentaneo. Ed è buono!

Invece, come ci dice il Vangelo, Gesù non ama quando ci mascheriamo nella vita in modo stabile, Lui ama che l’uomo sia vero nella sua vita di fede e nella sua vita di amore.

«Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello».

Possiamo mascherarci da superuomini e pensare che sono sempre gli altri a sbagliare e ad avere i difetti. Ma è una maschera che non serve e che alla fine ci fa male. Quello che ci chiede Gesù è toglierci di dosso ogni senso di disprezzo, di superiorità, di prevenzione; accertarci, invece, che a muoverci non siano l’ira e il risentimento, ma il desiderio del bene del fratello e della comunità.

«L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

Come l’albero non produce frutti a caso, ma determinati dalla specie, dall’ambiente, dalla coltivazione, così l’uomo: il suo impatto sul fratello e sulla comunità non è casuale, estraneo alla sua responsabilità, ma deriva dal tesoro del suo cuore. Ognuno è responsabile di ciò che lascia entrare dentro di sé e di come coltiva se stesso, di come gestisce il proprio mondo interiore. E questa gestione deriva dalle relazioni che egli coltiva. E l’uomo buono è colui che, innanzitutto, accoglie la relazione con Cristo, entra in intimità con Lui e vive, di conseguenza, la sua legge, la comunione fraterna.

Per lui il comando dell’amore non sarà un peso insopportabile perché germoglierà da sé come i frutti degli alberi. 

«Rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore»: è l’invito di Paolo, nella seconda lettura, ad avere come fermo riferimento proprio questo Gesù Cristo

E’ l’invito del salmista a rimanere «piantati nella casa del Signore», radicati e stabili nella sua parola, affinché possiamo crescere «come cedro del Libano», cioè forti, saldi, possiamo portare frutti buoni, essere «verdi e rigogliosi», possiamo dare cibo e dissetare, possiamo far sgorgare dal nostro cuore, per questo nostro mondo ancora in guerra, parole di vita per la vita di chiunque!

Redazione: