Michele Luppi
Kamara, Keita, Mamadou. Mentre un sole che sembra già di primavera mi accarezza il viso cammino tra le lapidi del cimitero di Trabuquet a Mentone. Con lo sguardo basso vedo scorrere davanti ai miei occhi questi nomi impressi sulla fredda pietra accanto alla data di morte: 1916, 1917 in qualche caso 1918. Ad un tratto la mia attenzione viene catturata da una statua di un uomo in piedi, un soldato dai lineamenti africani che sembra marciare con lo sguardo fisso oltre il mare verso le sponde dell’Africa. È il monumento con cui lo stato francese ha voluto ricordare i “tirailleurs senegalesi”, soldati arruolati nei territori delle colonie e portati a combattere e a morire qui, nel corso della Prima guerra mondiale. Sono 1.137 quelli sepolti solo in questo cimitero a pochi passi dalla frontiera italiana. Al mio fianco don Rito Alvarez sacerdote della diocesi di Ventimiglia – Sanremo confessa a bassa voce: “Oggi leggiamo questi nomi celebrati da un monumento che recita: ‘Morti per la Francia’. Eppure sono gli stessi nomi dei migranti africani che pochi chilometri più in là vediamo respinti e umiliati dalle stesse autorità francesi che qui ne celebrano gli antenati”.
Non è facile avere un’idea di quali siano oggi i numeri dei migranti presenti al confine italo francese.I dati degli accessi alla mensa gestita da Caritas Intemelia, organizzazione di volontariato promossa dalla Caritas diocesana, attiva ogni mattina, parlano di
2105 persone assistite nel solo mese di gennaio 2022:
Sudan, Eritrea, Etiopia, Afghanistan sono le nazionalità più presenti.
“In questo momento i numeri sono più bassi rispetto ai picchi degli anni scorsi, ma questo non significa che non vi siano criticità”, racconta al Sir, Maurizio Marmo, presidente di Caritas Intemelia, che ci ricorda come la situazione sia critica dal 2015 quando la Francia, sospendendo l’accordo di Schengen, decise di ripristinare i controlli alla frontiera.
“La situazione si è aggravata dal luglio 2020 – prosegue Marmo – quando la Prefettura ha deciso la chiusura del Campo Roja, l’unico spazio pubblico presente in città per l’accoglienza dei migranti. Questo ha spinto le persone in transito a cercare rifugi di fortuna lungo il corso del fiume, sulla spiaggia o nei pressi della stazione”.
A pagare le conseguenze più dure sono ancora una volta i soggetti più fragili: famiglie, minori stranieri non accompagnati e donne sole.“La mancanza di un sistema di accoglienza formale espone i minori e le donne ad una situazione di forte stress fisico ed emotivo con il rischio reale di subire abusi e sfruttamento”, conferma al Sir Alessandra Turri, responsabile del team di Save the Children a Ventimiglia. L’organizzazione, unitamente alla Diaconia Valdese e all’associazione WeWorld, è attiva da tempo nell’assistenza ai bambini e ai minori stranieri non accompagnati grazie ad un’unità itinerante e a due tensostrutture allestite nei pressi della mensa Caritas. “In questi spazi – racconta Turri – vogliamo dare ai bambini l’opportunità di ritrovare, seppur per qualche ora, la dimensione del gioco e alle loro mamme la tranquillità di restare in uno spazio protetto”. Visitando la tenda dedicata ai più piccoli è possibile vedere i disegni realizzati nei giorni scorsi: in uno di questi si vede una barca sospesa tra le due sponde del mare, tra l’Africa e l’Europa.
“Con i minori stranieri non accompagnati – continua Turri – il lavoro è soprattutto legato all’assistenza legale, ma quasi nessuno di loro vuole richiedere asilo in Italia precludendosi così la possibilità di accedere alle comunità presenti sul territorio”.
Stando sempre ai dati forniti dalla Caritas, nel solo gennaio 2022 sono stati 58 i nuclei familiari registrati con un totale di 86 bambini.“Per volontà del nostro vescovo, mons. Antonio Suetta – continua Marmo – sono stati messi a disposizione due appartamenti nel centro storico della città per accogliere le famiglie in transito. La permanenza normalmente non supera i quattro giorni: giusto il tempo per riposarsi dal viaggio ed organizzarsi per proseguire il cammino”.
Perché questa è l’unica certezza a Ventimiglia come in altre zone di confine:nonostante i controlli, le riammissioni e, purtroppo, anche le morti, i migranti in viaggio verso il nord Europa – Regno Unito, Danimarca, Svezia e Germania le mete preferite – trovano comunque il modo di passare il confine, rischiando lungo i sentieri di montagna o pagando i “passeur”.
Don Ferruccio Bortolotto è il parroco di S. Agostino, parrocchia del centro di Ventimiglia. Da tempo mette a disposizione una stanza della parrocchia proprio per l’accoglienza di donne e minori. “Sono le stesse autorità di polizia – racconta – che quasi ogni sera, quando la stazione chiude, accompagnano da me le famiglie che speravano di poter passare al caldo la notte nello scalo ferroviario.Per quanto possiamo, in silenzio, facciamo il possibile per dar loro una mano”.In tanti a Ventimiglia sperano la situazione possa cambiare nei prossimi mesi quando, secondo quanto dichiarato dal sindaco Gaetano Scullino, dovrebbe aprire un nuovo campo. “L’apertura del centro non può più essere rimandata”, confida. “Siamo in contatto – aggiunge – con il Ministero dell’Interno a cui abbiamo messo a disposizione un’area di 9 mila metri quadri a 2 km dalla frontiera. La speranza è che possa aprire prima del prossimo autunno”.