Maria Elisabetta Gramolini
La chiamata alle armi per difendere l’Ucraina riguarda tutti gli uomini sotto i 60 anni. Ma le donne non sono rimaste a guardare. Così come in tutti gli scenari di guerra, di ieri e di oggi, il loro contributo è basilare. E l’Ucraina non fa eccezione. La Giornata internazionale è un’occasione per parlare di loro, di come sia cambiato il loro ruolo, di come affrontino il dolore e la paura ma anche di come trovino il coraggio di resistere. C’è chi ha visto morire i propri figli, chi lotta per difenderli dalle bombe dal freddo e dalla fame. Chi è riuscita a scappare o aiuta e accoglie chi fugge. Tutte invocano la pace.
Dall’inferno ucraino, tante sono le voci che gridano al mondo chi sono le donne ucraine. Una di loro è Inna Mamchyn, 38 anni, avvocato che lavora nella Scuola di Bioetica dell’Università Cattolica ucraina e vive nella regione di Lviv (Leopoli), vicino al confine occidentale. Suo marito è un sacerdote cattolico della Chiesa greco cattolica. I suoi genitori e le due sorelle vivono invece a Vinnytsia, nella zona centrale del Paese. Conosce bene l’italiano perché ha studiato teologia a Roma.
Dal 24 febbraio, giorno dell’inizio dell’invasione russa, per Inna le ore sono intervallate dalle sirene dell’allarme aereo. Attraverso la chat di Facebook, descrive al Sir la sua partecipazione alla guerra ma rifiuta l’aggettivo ‘eroico’. “Nonostante tutto siamo tranquilli. Lavoriamo dove possiamo”, racconta mentre dice di essere riparata in chiesa perché sta suonando un allarme. Insieme alla Caritas locale, Inna aiuta nell’accoglienza dei rifugiati.
“Mio marito Volodymyr è un prete, non ha il diritto di combattere. Serve in una parrocchia nella nostra città, Stryi, e lavora come direttore della Caritas”. Anche il resto della famiglia partecipa e fa la sua parte: “Mia madre e mia sorella fanno varenyky (focaccine ripiene di carne o verdure, ndr) per i militari, mio zio e i suoi vicini saldano ‘ricci’ anticarro per difendere la loro città natale, mia zia tesse reti mimetiche. La gente vuole difendersi e combattere chi ha invaso la nostra terra! E lo faremo!”.
Inna, nei post pubblicati sul social network degli ultimi quindici giorni, rilancia con foto e grafiche lo sforzo titanico che il suo Paese sta compiendo dall’inizio del conflitto, lottare contro un gigante come la Russia come appare dalla cartina geografica. Racconta dei giorni e delle notti passate nei bunker antimissili, dell’attesa di tante altre donne in pena per i loro mariti al fronte, del coraggio con cui difendono i figli e della forza con cui sostengono il Paese in questo momento di difficoltà. Inna condivide gli articoli della stampa internazionale che parlano del conflitto. Fra le pagine spunta anche quella dell’azienda del trasporto pubblico di Roma, l’Atac, che ha recentemente colorato con la bandiera ucraina i vagoni della metropolitana in segno di solidarietà.
E poi le tante foto dei bambini nei rifugi, delle testimonianze di aiuto che la popolazione sta offrendo a chi è riuscito a fuggire dalle bombe, dei palazzi ridotti in rovina dalle esplosioni e dell’orgoglio ucraino stavolta incarnato in tante sue sorelle e in lei.
Ci racconta che per ora la zona occidentale dell’Ucraina è stata meno colpita dagli attacchi. Alla domanda se manca il cibo o i generi di prima necessità, Inna pensa a chi sta peggio: “Non sentiamo così tanto – dice – la mancanza dei beni. Sappiamo però che nell’Est, dove ci sono operazioni militari attive, sta arrivando una catastrofe umanitaria. Ieri a Irpin (zona alla periferia Nord di Kiev, ndr) i russi hanno accettato di fare un corridoio umanitario per far evacuare donne e bambini. Ma ci hanno detto che i russi hanno iniziato a sparare ai civili mentre lasciavano la zona”.
Nei messaggi che scambia con il Sir, non manca la gratitudine per le preghiere che l’umanità sta rivolgendo per la pace e in particolare verso l’Italia Inna aggiunge un messaggio di riconoscenza: “Grazie per le vostre preghiere e per gli aiuti umanitari! Vediamo quanto gli italiani sostengono gli ucraini! È molto prezioso!”. Non nasconde la paura per le città sotto assedio dove le forze armate avversarie non stanno risparmiando la popolazione inerme: “I russi sparano su asili, reparti di maternità, uccidono i civili. Bambini e donne stanno morendo. Ma noi continuiamo a tenere duro. Finalmente l’Europa ci ha ascoltato e ci sta aiutando con armi e denaro. I nostri soldati sono i più coraggiosi del mondo! I russi pensavano che potevano arrivare e prendere Kiev in poche ore, ma non ci sono riusciti”.