Andrea Zaghi
L’agricoltura è ormai senz’acqua. E non si tratta di una siccità passeggera, risolta dopo qualche settimana da piogge ristoratrici. Qui, ormai, si parla apertamente di cambiamento climatico radicale. Che, di fatto, pare abbia capovolto la cartina geografica del Paese: il nord che ha sete, il sud che, spesso, affoga. Gli agricoltori e i tecnici se ne sono resi conto da tempo, meno, forse, le istituzioni e la politica.
Tutta colpa dell’agricoltura che non è stata capace di risparmiare abbastanza acqua, si potrebbe dire. E si direbbe una cosa non vera. La produzione agricola, infatti, è già riuscita a ridurre del 40% circa i suoi consumi idrici. Il fatto è che a non funzionare pare sia la gestione generale delle acque, con pochi invasi e molti depuratori che non funzionano a dovere.
I risultati di tutto questo sono davanti agli occhi di tutti. “La siccità nel bacino del Po – ha ancora una volta sottolineano pochi giorni fa la Coldiretti -, minaccia oltre 1/3 della produzione agricola nazionale, fra pomodoro da salsa, frutta, verdura e grano, e la metà dell’allevamento”. Stando alle ultime rilevazioni (fonte Osservatorio sulle crisi idriche riunitosi dell’Autorità distrettuale del Fiume Po-Ministero transizione ecologica), il grande fiume soffre fino al 40% di portata in meno che diventa 60% in meno negli affluenti. Oggi, in uno dei punti tradizionali di rilevazione della portata (il Ponte della Becca), l’acqua che vi scorre è meno di quella di Ferragosto. Tutto senza dire dei grandi laghi.
La parola d’ordine di fronte a tutto questo è una sola: risparmio (di acqua). Che equivale ad grandi investimenti. Anche in questo caso i coltivatori ci hanno già pensato. “Per risparmiare l’acqua, aumentare la capacità di irrigazione e incrementare la disponibilità di cibo per le famiglie è stato elaborato e proposto insieme ad ANBI un progetto concreto immediatamente cantierabile nel Pnrr – ha più volte ricordato Coldiretti – un intervento strutturale reso necessario dai cambiamenti climatici caratterizzati dall’alternarsi di precipitazioni violente a lunghi periodi di assenza di acqua, lungo tutto il territorio nazionale”.
Si pensa, in altri termini, alla realizzazione di una rete di piccoli invasi con basso impatto paesaggistico e diffusi sul territorio, privilegiando il completamento e il recupero di strutture già presenti. E si pensa anche ad una progettualità già avviata e da avviarsi con procedure autorizzative non complesse, in modo da instradare velocemente il progetto e ottimizzare i risultati finali. L’idea, cioè, è di “costruire” senza uso di cemento per ridurre l’impatto l’ambientale laghetti in equilibrio con i territori, che conservano l’acqua per distribuirla in modo razionale ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione. In attesa di tutto questo, però, gli stessi fiumi d’Italia hanno una gran sete.