Gigliola Alfaro
I volontari della Società di San Vincenzo De Paoli, fondata a Parigi nel 1833 dal beato Antonio Federico Ozanam insieme ad un gruppo di giovani studenti, cattolica ma laica, combattono ogni giorno l’esclusione sociale. A loro è dedicata la ricerca “Volontari due volte. L’azione pro-sociale nella Società di San Vincenzo De Paoli” svolta da Andrea Salvini, professore ordinario di Sociologia generale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, e presentata a Roma nei giorni scorsi. Sono oltre 1.300 i membri della Società di San Vincenzo De Paoli che hanno partecipato alla ricerca, voluta dal presidente della Federazione nazionale Società di San Vincenzo De Paoli (Ssvp), Antonio Gianfico. La Società di San Vincenzo De Paoli è presente in 152 Paesi nel mondo e conta più di 800mila soci, oltre a 1 milione e mezzo di volontari non soci, suddivisi in 48mila gruppi operativi (1.100 in Italia), diffusi sul territorio chiamati “Conferenze”.
Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, all’inizio della presentazione, ha ricordato: “Tra i vostri volontari ci sono molti anziani. Deve essere una grande gloria: soprattutto in Italia, noi anziani non siamo uno scarto, anzi siamo una grande ricchezza che deve essere vissuta e detta. Attraverso la nostra presenza offriamo una testimonianza di cosa vuole dire essere discepoli di Gesù anche quando il mondo pensa che la nostra vita è alla fine”. Parlando del volontariato cristiano, ha osservato che“la carità è quella dimensione di gratuità che noi possiamo testimoniare in maniera eroica e profetica, come è successo negli anni della pandemia, restando accanto ad anziani, disabili e bambini”.
“La Ssvp rappresenta una grande organizzazione di volontariato, diffusa capillarmente in tutto il territorio nazionale, che, con la sua opera, costituisce un punto di riferimento per migliaia di persone”, ha sottolineato Andrea Salvini, presentando la ricerca.“La sua missione, da una parte, costituisce un luogo in cui i credenti possano sperimentare e ‘sfidare’ la propria fede, al di là degli orizzonti delle istituzioni ecclesiali; dall’altra, offre al territorio un insieme di risorse che possono contribuire ad alleviare specifiche situazioni di disagio, integrandosi con i servizi che sono realizzati nelle comunità servite”.La San Vincenzo De Paoli, ha dichiarato, “è una organizzazione fondata su una sostanziale dualità nel modo di interpretare la propria presenza sul territorio, in quanto combina una forte vocazione religiosa con un chiaro orientamento secolare. Questa combinazione costituisce, allo stesso tempo, una risorsa e un vincolo per il proprio consolidamento e il proprio sviluppo”. L’organizzazione si “struttura” in modo evidente e “solido” intorno “all’orientamento spirituale e operativo”, come “scelta di fondo”, che dunque viene conosciuta e “accolta” fin dai primi momenti di adesione e perdura in modo praticamente “invariante” nel corso del tempo. “L’azione condotta dai volontari della Ssvp non è soltanto un’attività rivolta a rispondere alle necessità di persone, famiglie, o altre fasce di popolazione (un intervento di ‘welfare’), ma è soprattutto una espressione performativa della propria fede, il che non esclude, ovviamente, di poterne considerare la dimensione ‘pubblica’, ad esempio come espressione di cittadinanza attiva o di ‘lavoro di comunità’”.
Dai dati emersi dall’indagine, “appare chiaro che la Ssvp continua a costituire un luogo in cui la funzione di intermediazione sociale rappresenta un elemento essenziale della propria identità organizzativa”.Il 70% delle attività compiute sono orientate alla assistenza diretta verso “terzi beneficiari”, in particolare le famiglie e alcune fasce di persone in situazione di fragilità (anziani, minori, senza fissa dimora, persone bisognose di cura);il 30% dei soci sono impegnati (anche) in attività di supporto organizzativo (gestione, amministrativa e attività “innovative”, come la progettazione e il “networking” con altri soggetti organizzati).
“La gratuità – ha precisato, nel suo intervento, Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede – nasce con la fede. Dare del tempo per aiutare i poveri è strettamente legato all’esperienza di fede che si vive. Il tema della trasmissione della fede e il coinvolgimento delle giovani generazioni interpella non solo la San Vincenzo: come si può dire oggi a un giovane che la fede è una scommessa interessante? In questo senso l’aiuto ai poveri e il volontariato sono fondamentali.
Lo spendersi per gli altri ha una grandissima attrattiva anche per chi non ha la fede”.
Da un punto di vista comunicativo, ha rilevato Tornielli, “il bene ha una grande potenzialità di essere raccontato attraverso le storie, i volti, gli sguardi di chi aiutiamo, che a sua volta aiuta noi a essere migliori e a vivere meglio la nostra fede”.
“Il volontariato delle Conferenze di San Vincenzo hanno come loro criterio distintivo il dono come gratuità”,
ha affermato l’economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali, con un’esperienza giovanile nella San Vincenzo. “La missione grande e nascosta del volontariato vincenziano e anche di altri è quella di diffondere l’idea che essa consiste nella relazione intersoggettiva, quindi la creazione di beni relazionali, cosa di cui difettano le società di oggi”, ha continuato.
“In uno Stato di diritto il compito di essere vicini ai poveri è delle istituzioni, il volontariato è il ponte,
è chi offre il sostegno immediato aiutando anche le istituzioni a individuare il percorso più adatto per rispondere alle necessità”, ha sostenuto Antonio Gianfico. “La San Vincenzo ha avuto il coraggio di coinvolgere il mondo accademico affinché ci aiuti a fare la rivoluzione del bene – ha dichiarato -. Nel mondo riusciamo a dare attenzione a circa 30 milioni di persone, in Italia nel 2020 siamo riusciti a essere vicini a 43mila famiglie e 125mila persone, distribuendo 4 milioni e 700mila chili di prodotti a cui si aggiungono gli aiuti finanziari distribuiti sul territorio”.