Nella notte tra l’11 e il 12 marzo, poco prima delle 4, è esplosa una bomba carta davanti al cancello pedonale della parrocchia di San Paolo Apostolo, nel Parco Verde di Caivano. Il parroco, don Maurizio Patriciello, è da sempre impegnato in prima linea contro l’inquinamento e nel contrasto allo spaccio di droga e alla camorra. Tante le attestazioni ricevute dal sacerdote: dalla Chiesa di Aversa al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Al Sir parla di quello che è successo proprio don Maurizio Patriciello.
Cosa sta succedendo, don Maurizio?
Ci sono i clan in lotta tra di loro che si fanno la guerra sul territorio e non guardano in faccia a nessuno. Ci sono continue stese: motociclette che vanno a gruppi di 6, 7, 8, con due giovanotti a bordo, vestiti di nero che con i Kalashnikov sparano in aria per intimorire il nemico e lanciare il messaggio: “Da oggi comandiamo noi”. Sono meccanismi interni che tante volte la gente non conosce. Quando tra i clan c’è la pace, la gente non si accorge di niente, appena riprende la lotta iniziano le stese e mettono le bombe, che non fanno molti danni, come è successo anche in parrocchia, ma sono molto rumorose, le mettono nel cuore della notte svegliando tutto il vicinato con l’obiettivo di impaurirlo.
Perché è stata messa una bomba carta fuori alla chiesa?
Nei mesi scorsi proprio
in parrocchia da me è nato il Comitato di liberazione dalla camorra Napoli Nord: abbiamo firmato il documento della costituzione del Comitato davanti al nostro altare.
Con me c’erano il senatore Sandro Ruotolo e Biagio Chiariello, il comandante della Polizia municipale di Arzano, un paese che versa in condizioni molto pericolose dal punto di vista della camorra. Chiariello è una persona onesta e appena ha preso servizio ad Arzano si è dato da fare per contrastare il malaffare e la criminalità ha reagito, arrivando il 7 marzo a fargli trovare in ufficio un manifesto funebre con il suo nome, la sua foto e il giorno della sua morte che sarebbe stata il 10 marzo. Questa intimidazione è stata letta come una condanna a morte. La prefettura si è subito allertata ed è stata data la scorta a Chiariello, perché è in pericolo la vita sua, della moglie e del figlio. Poi l’11 marzo è stato il mio compleanno: la notte tra l’11 e il 12 marzo, alle 3.38, hanno fatto esplodere la bomba carta davanti al cancello della parrocchia, con il chiaro messaggio: “Toglietevi di mezzo, lasciateci stare”. Vogliono comandare loro, è evidente.
Quali sono gli obiettivi del Comitato di liberazione dalla camorra Napoli Nord?
Il nome è tutto un programma.
L’obiettivo è, innanzitutto, essere accanto alle persone che subiscono intimidazioni.
Ad esempio, siamo stati nel bar di Arzano, dove qualche mese fa c’è stata una spaventosa sparatoria con l’uccisione di un giovane di Frattaminore, il ferimento di due suoi amici con lui nel bar e di due innocenti che stavano per conto loro a prendere un caffè. Il proprietario del bar, Armando, è restato traumatizzato, terrorizzato. Ho visto le foto dopo la sparatoria: c’era sangue dappertutto. La prima reazione è quella di chiudere tutto e andare via. Ma è quello che non bisogna fare, perché altrimenti si fa terra bruciata, questi paesi diventano un ghetto in mano alla camorra. Nei giorni seguenti noi del Comitato abbiamo fatto visita ad Armando, io gli ho portato un crocifisso. Un altro obiettivo è incitare i commercianti, oggetto di intimidazioni, violenza, illegalità, a denunciare. Molti hanno paura.
Dopo la bomba carta ha ricevuto tante attestazioni di vicinanza…
Ieri mattina in parrocchia da me c’erano il generale dei Carabinieri e il commissario di Polizia, mi hanno chiamato il prefetto e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per esprimermi solidarietà. Io apprezzo tutti, ma ieri sera ero solo in chiesa con i fedeli, un po’ intimoriti, in numero minore delle altre volte. Sono venuti gli inquirenti e hanno potuto constatare che non ci sono telecamere nei pressi della parrocchia, benché da anni le chiediamo. I vigili possono fare poco: per la grandezza di Caivano avremmo diritto a 64 di loro, in realtà sono 10, di cui alcuni stanno alla vigilia della pensione, qualcuno ha la 104, qualcuno sta in malattia, quindi sulla strada ce ne sono pochi. Sono un prete e apprezzo tutti: è venuto a trovarmi in parrocchia Giuseppe Conte, che già si trovava a Napoli, ringrazio lui e tutti quelli che ci hanno manifestato solidarietà.Ma in concreto sono già passati due giorni dall’esplosione della bomba e mi domando: faranno un altro atto simbolico? Metteranno un’altra bomba? O torneranno, con più determinazione, per fare male a me, che mio malgrado, sono diventato un simbolo?
Don Maurizio, ha paura?
È una domanda difficile. Se dico di no, sembro un buffone, se dico di sì sembro un vigliacco. La paura fa parte della nostra umanità. Se una persona arriva con una pistola puntata, la prima reazione è scappare per mettersi al sicuro. Ma se vogliono uccidere, i camorristi lo fanno. Per questo non credo più di tanto neppure nella scorta. Io sono parroco, come faccio a vivere con la scorta? Vado a casa delle persone che chiedono l’olio degli infermi, ci sono i fedeli che chiedono di essere confessati. E poi
quando sono in chiesa a celebrare la messa sull’altare, mentre recito il Padre Nostro con le mani alzate, sono l’uomo più indifeso di questo mondo.
In quel momento chiunque potrebbe venire e farmi del male, se ha questa intenzione, scatenando il putiferio in chiesa, tra i fedeli, i bambini. Chi viene in parrocchia non può essere fermato dalla scorta, la chiesa è aperta a tutti. La cosa più facile di questo mondo è fare del male a un prete. Se vogliono farmi male, troveranno il modo di farlo, con o senza la scorta.
Cosa vorrebbe dire ai camorristi?
Ieri mi sono sforzato di mandare un messaggio anche a loro, dicendo:“Quello che stiamo facendo vale innanzitutto per i vostri figli, per metterli in salvo, perché purtroppo voi non li avete amati. I primi nemici dei vostri figli siete voi, lo dico con sofferenza, con le lacrime agli occhi, perché li avete incamminati in una strada senza ritorno, in un vicolo cieco, che condurrà, per forza di cose, o al camposanto – e li piangerete giovanissimi – o in carcere a Poggioreale”.Ho visto tante mamme riverse sulle bare bianche dei loro figli e ho rispetto delle loro lacrime, ma, in un discorso di onestà intellettuale, dobbiamo dire che, se questi giovani criminali erano a loro volta figli di camorristi, i genitori non hanno neanche diritto di piangere perché quella morte l’hanno voluta loro, è stata provocata da loro stessi, anche se ad ammazzarli fisicamente è stata la pistola di un clan rivale. Noi vorremmo salvare i figli dei camorristi, vogliamo salvare la nostra gente, abbiamo il dovere di annunciare il Vangelo. E
Vangelo e mafia, Vangelo e camorra sono due ingredienti che non potranno mai andare insieme, non si potrà mai fare una torta.
Papa Francesco l’ha detto chiaramente, l’aveva già detto san Giovanni Paolo II:i mafiosi, i camorristi sono scomunicati, sono i nemici della nostra gente, dei nostri bambini, della nostra società, del nostro popolo, della nostra economia, della nostra libertà, della nostra dignità. Non si può chiedere a un essere umano, a un cristiano, a un prete di rinunciare alla sua pelle, al suo Dna. La sete di libertà, di verità, di dignità, di onestà, di legalità, di normalità è inscritta nel nostro Dna.Certo, potranno farci del male, ma ce ne facciamo una ragione.