M. Chiara Biagioni
Essere in Europa una Chiesa che serve, che non cerca risposte ma si mette in cammino insieme ad altri e ha la forza di compiere ogni giorno gesti di pace, tra le sfide che attraversano oggi il continente. Si sono concluse così oggi a Bratislava le Giornate sociali cattoliche europee. Delegati delle diverse Conferenze episcopali d’Europa, ma anche esperti di politica, economia e social media, per tre giorni, si sono confrontati sulle tre transizioni principali che stanno caratterizzando la vita in Europa in questo tempo di post pandemia: la transizione demografica, tecnologica e digitale, ecologica. L’iniziativa è stata promossa dalla Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece), dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e dalla Conferenza episcopale slovacca, in collaborazione con il Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. L’evento, che ha scelto come tema “L’Europa oltre la pandemia: un nuovo inizio”, si è inevitabilmente confrontato con la guerra che sta insanguinando l’Ucraina.Un conflitto che qui a Bratislava è risuonato come uno stimolo in più per riconnettere l’Europa alla sua profonda identità e storia e riscoprire i sogni che hanno ispirato i padri fondatori perché, come diceva Robert Schuman, “un’Europa viva” oggi è “indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”.
“Abbiamo esaminato in questi giorni molte statistiche e ci siamo scambiati molte informazioni”, ha detto nelle conclusioni il card. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Comece. “Tutto ciò è importante per condurre buone riflessioni ma non dobbiamo mai dimenticare che al centro del nostro interesse c’è sempre la persona umana, creata da Dio, per la quale Gesù ha dato la sua vita sulla croce e verso la quale siamo chiamati ad amare e servire. Abbiamo raggiunto delle conclusioni. Siamo forse più consapevoli di quello che siamo chiamati a fare. Non abbiamo trovato delle risposte perché forse non è possibile. Ma abbiamo camminato insieme. Ci siamo messi in un processo sinodale ed è solo in questo camminare insieme che possiamo vedere dove soffia lo Spirito di Dio e dove ci sta conducendo per essere in Europa una Chiesa che serve”. “Possiamo certamente avvertire che ci sono tra noi delle differenze tra l’est e l’ovest del continente”, ha quindi osservato Hollerich, “ma queste differenze non devono diventare mai una sorta di muri, al contrario, ci aiutano ad essere persone migliori, persone di dialogo che sanno ascoltare. In questo cammino poi non siamo soli come Chiesa cattolica. Camminiamo e lavoriamo insieme a tutti i cristiani.L’Europa ha bisogno della testimonianza comune di persone che prendono il Vangelo sul serio. Senza livellare le differenze tra noi, penso che siamo sul giusto cammino, servire Dio nella umanità, servire il mondo che Dio ha creato”.
Nelle sue conclusioni, mons. Gintaras Grušas, arcivescovo di Vilnius e presidente del Ccee, ha parlato della emergenza della pandemia e della guerra in Ucraina ed ha osservato come “queste esperienze ci spronano ad impegnarci a vivere le parole di Giovanni Paolo II che diceva che le difficoltà e le distorsioni del tempo in cui viviamo chiamano ad una maggiore testimonianza della vita cristiana”. “Non possiamo semplicemente adottare le agende di altre persone o diventare una delle tante ong che lavorano per la famiglia, l’uguaglianza economica e digitale o un ambiente autosufficiente”, ha aggiunto mons. Grušas. “Non possiamo permetterci di diventare solo uno strumento di programmi di governo che cercano di raggiungere obiettivi seppur virtuosi”. “I problemi che affrontiamo possono tentare di rubare la nostra speranza”. Ed è in questa prospettiva che “dobbiamo lavorare per la giustizia, la pace, la solidarietà e la fraternità con i nostri fratelli e sorelle nella famiglia dell’umanità”. “La nostra carità cristiana, soprattutto in questo momento in cui i nostri sforzi sono diretti ad accogliere i nostri fratelli e sorelle ucraini in fuga dalla guerra e dalla distruzione e sostenere coloro che rimangono nella loro patria con l’angoscia del pericolo imminente,ci dia la forza di parlare con le parole di pace a un’Europa spesso divisa e di compiere ogni giorno tanti gesti di pace affinché, nello sforzo di comprendere gli altri, esercitiamo l’impegno cristiano di perdonare coloro che attaccano e offendono”.
“Abbiamo trascorso giornate intense e piene di fatti, stimoli e opinioni provenienti da diversi Paesi e diverse aree di competenza professionale”, ha detto mons. Stanislav Zvolenský, arcivescovo metropolita di Bratislava e presidente della Conferenza episcopale slovacca. “Una ricchezza di nuove informazioni ha ampliato la nostra prospettiva e ha aperto opportunità per nuovi modi di pensare”. “Questo evento ci ha permesso di leggere le sfide e problemi che attraversano il nostro continente, in un contesto nuovo, molto più ampio”.
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