Di Francesco Zanotti
Missione compiuta. È quella condotta in porto domenica scorsa dalla Misericordia Valle del Savio e da quella di Sarsina. Una colonna mobile composta da cinque mezzi, un camion, tre pulmini e un pick up, e dodici volontari guidati da Israel De Vito, coordinatore regionale delle Misericordie, ha portato un carico di aiuti umanitari (raccolti tutti tra Bivio Montegelli e Sarsina) in Polonia, in favore della popolazione ucraina che fugge dopo l’invasione della Russia iniziata il 24 febbraio.
Sul nostro sito (www.corrierecesenate.it, sezione Valle del Savio) abbiamo seguito tutto il viaggio iniziato la mattina di venerdì 18 marzo con la partenza da Gualdo di Roncofreddo. Di seguito un sunto del racconto vissuto in prima persona.
Nella prima parte del percorso, tocchiamo subito con mano la solidarietà concreta. In Austria il nostro mezzo più pesante, alla cui guida si sono alternati De Vito e il volontario Michele Grotti, riscontra problemi meccanici. Ci vengono in soccorso i componenti di un’altra colonna umanitaria, quelli della Rosa dell’Umbria, che riescono a farci ripartire.
Lo stemma, la divisa e la scritta “humanitarian aid” sono un formidabile lasciapassare, assieme alla parola “Ucraina”. Di notte, nel tragitto di ritorno, la polizia della Repubblica Ceca ci intima l’alt. Compreso in breve il motivo della nostra presenza in un Paese estero, quasi si scusano per averci fermato. Il senso di condivisione si respira ovunque e campeggia anche lungo le autostrade polacche che riportano, sui grandi cartelli avvisatori che sovrastano la sede stradale “Solidarietà all’Ucraina”.
A Przemysl, a una ventina di chilometri dal confine ucraino, dove c’è un grande centro di raccolta e smistamento di aiuti per i profughi, ci arriviamo sabato 19 marzo, poco dopo mezzogiorno. Neanche il tempo di scaricare qualche pacco, che veniamo invitati a condividere il pranzo, una bollente zuppa di verdure che ha il merito di rigenerarci.
Krzistzof Sobejco è un volontario ucraino che opera qui per conto della Caritas diocesana e per il Comune della stessa città. Ci dicono che «sarebbe importante fare arrivare i colli con le scritte in inglese, in polacco e in ucraino», giusto per essere concreti e non sprecare tempo e risorse. Qui i bisogni sono tanti. Da questo luogo, dall’inizio dell’invasione russa, sono già partiti 154 camion di aiuti (i numeri sono aggiornati a sabato scorso). Nonostante la solidarietà che arriva da tutta Europa, risultano ancora molto richiesti alimenti per bambini e prodotti alimentari in scatola a lunga conservazione. Noi siamo arrivati quando era partito da pochissimo un camion in direzione di Kiev. Poi di notte «le donne – dice Krzistzof – attraverso strade secondarie, provvedono a distribuire la merce».
La stessa sera, nei pressi di Birkenau, facciamo salire su due dei nostri mezzi sette profughi ucraini ospiti in una struttura religiosa dove ci viene offerta la cena a base di pierogi, una sorta di tortellini polacchi. Si tratta di due nuclei familiari di Kiev, una mamma con quattro figli, un ragazzo e tre ragazze, e un’altra mamma con una ragazzina. Gli uomini, mariti e figli, sono rimasti in Ucraina, a difesa della loro terra.
In auto, nonostante la stanchezza, il sonno e la lunga tratta, è facile familiarizzare. Con me, Andrea Casadei e Arnaldo Scarpellini, viaggiano tre adolescenti (14, 15 e 18 anni) e la loro madre. La sorella di 17 anni, con un’altra signora che ha con sé una figlia, è sul pulmino guidato a turno da Mattia Calbucci e Andrea Fabiani. Grazie al traduttore disponibile sui cellulari riusciamo a conversare. Le ragazze più grandi vogliono sapere tutto dell’Italia. Cantano il loro inno nazionale e quello di Mameli. Sorridono spesso, sono allegre. La mamma parla poco, si emoziona e con fatica nasconde le lacrime.
Rimaniamo con loro, fino all’arrivo di domenica pomeriggio. Quegli sguardi sono impressi per sempre nella mente e nel cuore. Nel salutarci, tutti auspichiamo un unico evento: la fine della guerra. Noi ci crediamo poco. Loro, invece, lo sperano.
Il commento
Valore a un sorriso
Il rientro a casa è un tumulto di emozioni. Non si sa più a cosa pensare. La guerra, i cui echi entrano nelle nostre case, è più viva che mai. I volti dei ragazzi incontrati e delle loro madri ci hanno lasciato il segno. Adesso abbiamo toccato con mano. Adesso abbiamo visto e abbiamo ascoltato le loro storie, gli strazi, gli strappi e le loro attese per il futuro. Per ora hanno solo un pensiero: tornare a casa quanto prima. Le ragazze scambiano il rifugio trovato in Italia per una gita scolastica. Il clima che si crea è felice. O meglio, è quello che vorrebbero farci credere. Poi, si vede e si avverte tanta sofferenza nei loro giovani cuori.
La guerra divide le famiglie: ragazzi, bambini e mamme da una parte, gli uomini da un’altra. La guerra strappa i legami. Gli amici chissà quando si ritroveranno. La guerra interrompe i percorsi di studio, gli amori, i legami con il territorio.
Con questa missione, le Misericordie hanno cercato di portare del loro. Una goccia nel mare, lo sappiamo, comunque capace di strappare un sorriso.
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