Rubrica Antiche tradizioni, di Susanna Faviani
La nascita di un bambino, di un nuovo essere umano è stato sempre un mistero fin dalla notte dei tempi. Le nostre anziane con la loro semplicità dicevano: “Si chiama parto, perché la donna è come se partisse per un viaggio e non sa se tornerà”. La frase si spiega con le tante morti in parto in un’epoca “nature” quando si partoriva in casa, sul letto, senza ausili medici o risorse mediche, chirurgiche e sanitarie. Anche nel nostro territorio, tra colline e mare c’è tutto un florilegio di tradizioni, riti, usanze credenze popolari, superstizioni in auge precedentemente alla prima alfabetizzazione-scolarizzazione per tutti, ossia fino ai primi del ‘900. Risulta utile ricordare tali usanze, che fanno parte delle nostre radici e della nostra memoria. La gravidanza veniva si vista come un fatto naturale, anzi dovuto, in quanto una donna che non rimaneva incinta era considerata incompleta, un pò come fosse un oggetto difettato, purtroppo. Ma si sa, la concezione della donna ai tempi la contemplava esclusivamente come “angelo del focolare”. C’era ad ogni buon conto sempre un mistero, una magia nei riguardi della donna in gravidanza, custode del mistero della vita. Secondo la tradizione la donna gravida non avrebbe dovuto accavallare le gambe per non “storcere” il bambino, non avrebbe dovuto indossare collane, non avvolgere gomitoli, non varcare i ruscelli o i rigagnoli e neppure corde e fili stesi a terra perché altrimenti il bambino “sarebbe nato con il cordone ombelicale avvolto intorno al collo”. Anche la pancia veniva “studiata” dalle anziane: se era rotonda il bambino era femmina, se a punta, maschio, se era scesa – questo è vero però – il parto era vicino. Era la “levatrice” la donna che aiutava a partorire la donna in casa, in tempi antichi una semplice .. “esperta faidate”, in tempi più recenti, con qualche nozione sanitaria. Diciamo che il parto solitamente andava bene anche se a volte vi erano complicazioni. Una volta avvenuto il “lieto evento”, niziavano le “visite” , specie se il bambino era un maschio. Invece di stare attenti ai microbi e di tenere la puerpera isolata, nella camera c’era un continuo andirivieni di persone che toccavano il bambino, come fosse una reliquia, come se il “tocco” elargisse di per se’ benedizioni.
Veniva portata in dono una gallina o cose e cibi che producessero latte alla puerpera. Con la gallina e il piccione si faceva un brodo che solo ed esclusivamente la neo-mamma doveva sorbire. Per 8 giorni lei restava a letto possibilmente supina, con un fazzuolo – fazzoletto – in testa e –ahimé – senza lavarsi…Non poteva uscire da casa prima di 40 giorni, come accadde a Maria dopo aver partorito Gesù – dicevano. In questi 40 giorni l’acqua non poteva essere toccata e se la donne fosse stata costretta ad uscire, l’unica soluzione era indossare il cappello del marito o di passare “ a ruscia a ruscia” ossia radente i muri, per restare sempre sotto il cornicione ossia come se stesse ancora sotto il tetto di casa! Sotto il cuscinetto dei neonati veniva messo il “breve” cioè due dischetti di cartoncino ritagliati rotondi con all’interno un po’ di cera del cero pasquale o comunque di candele accese in chiesa davanti all’immagine della Madonna. I dischetti venivano confezionati con cura e poi ricoperti di stoffa bianca ricamata con simboli apotropaici o ritagli di immaginette della Vergine. Con un nastrino rosso venivano anche cuciti sulle “camisole” ( casacchine, vestine ) dei neonati e comunque erano anche presenti sotto il cuscinetto. Ciò sarebbe servito a tenere lontane le influenze negative e a scongiurare ogni possibile “maleficio” o “fattura”. Un timore era quello delle “streghe”, i pannetti dei bimbi appesi fuori ad asciugare venivano sempre ritirati prima dell’Avemaria, cioè al crepuscolo, perchè altrimenti sarebbero restati la notte in balia delle streghe che li avrebbero usati per malefici. A volte nei “brevi” che venivano fatti indossare dai neonati vi era, tra i due dischetti, del lievito, sale e per i più fortunati un pezzettino di “stola” del prete, il tutto doveva ovviamente servire a portare benefici al piccolo e soprattutto a proteggerlo da ogni male o malocchio, in un miscuglio di fede e superstizione. Le nonne usavano recitare una filastrocca sgrammaticata , cioè uno scongiuro, che recitava così : “Chi è stato che t’ha mmannatu?..Chiunque scia statu, jò l’inverne scia dannatu, San Pietro de Roma e san Giacomo de la Spagna portate via la ‘mmidie, la discicca e la lagna, Patre, Fijiu e Spiritu Sande..” Per far crescere bene un bimbo in modo robusto, oltre a fasciarlo stretto stretto per farlo essere “dritto” gli si bagnavano prima braccette e gambine col vino cotto. I maschi erano spesso portati nei luoghi di attività di labvoro maschile, come la stalla, fargli toccare il giogo, vanga, zampa ecc.
Stesso dicasi per i primi dentini caduti, posizionati sotto il cuscino dove al mattino comparivano al loro posto piccoli doni, noci, mandorle, bastoncini di liquerizia oppure , per i più abbienti, addirittura una monetina!
In foto : un rametto di corallo, spesso veniva infilato tra le fasce del bambino contro ogni male. Si credeva infatti che il colore rosso, simbolo del sangue corrente e della vita, scongiurasse la morte.