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Direttore Pompei: di fronte alla guerra “se non ci commoviamo o pensiamo che sia roba altrui, significa che la nostra civiltà se ne è andata con le bombe”

Di Pietro Pompei

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Non è nostro compito parlare di pace e di guerra, in questo periodo in cui stormi di parole si sono rincorsi a dire e contraddire se stesse, anche se ci rendiamo conto che non possiamo ignorare certi avvenimenti che specialmente costituiscono il momento storico in cui transitiamo.
Di fronte a questo terribile e disumano conflitto tra la Russia e l’Ucraina che sta causando un’emigrazione apocalittica verso la nostra Europa, con scene raccapriccianti e bestiali, tanto terribili, non potevamo rimanere indifferenti, come purtroppo si è continuato a dimostrare verso i tanti che fuggono dalle molte tirannie, guerre, violenze, naufragi, che stanno continuando a martoriare questo povero mondo.
Secondo lo storico M. R. Davien soltanto in Europa si sono combattute negli ultimi tre secoli ben 286 guerre e dal 1820 al 1945, secondo calcoli molto attendibili, sono cadute in guerre o in altri conflitti ben 59 milioni di persone.

Basterebbero questi dati per arrestare qui la nostra riflessione ed accettare senza commento la natura bellicosa ed aggressiva dell’essere umano.
Una sensazione familiare l’abbiamo avuta con il suono della sirena che, normalmente avverte l’arrivo dei bombardieri; ed abbiamo concluso che su questo suono la lezione della storia non c’è stata.
Abbiamo ritrovato il tramestio e quindi l’accorrere convulso e disordinato, tra il pianto dei bambini mezzo assonnati, di tutto un paese verso le colline circostanti per mimetizzarsi tra il groviglio dei rami della vite che in quell’anno non aveva conosciuto la potatura. Il momento più terribile è sempre quello dell’attesa che si fa silenzio allucinante tra il cessare del suono e il rombo dei bombardieri che ci sfilavano sopra carichi di morte. E la memoria ha riacceso la paura nell’ascoltare alla televisione quel sibilo pieno di angoscia.
La civiltà è servita, specie nel precedente secolo, per perfezionare le armi distruttive e mi vien voglia di aggiungere, di giustificare certe leggi di morte. La guerra suscitò lo sdegno di Einstein, il quale ebbe a scrivere: “ Bisogna sopprimere questa vergogna della civiltà il più rapidamente possibile”.
Ho ritrovato la voce di un esule che a distanza di anni esprime perfettamente i sentimenti dei milioni di profughi che continuano a fuggire dalla distruzione totale che di giorno dopo giorno diventa sempre più virulenta.
E sono quelli che già da anni sono esuli, fuggiti dalla tirannia di Saddam, come lo scrittore Younis Tawfik, i primi a gridare di non distruggere tutto. Ecco cosa si legge in una lettera aperta ai “veggenti della guerra” ,sulla quale invito alla meditazione.

Vi scongiuro di non farlo! Non tagliate l’albero che un giorno mi ha visto nascere, crescere sotto i suoi folti rami e giocare intorno al suo robusto tronco. Quel vecchio cedro che mi proteggeva generosamente dai raggi del caldissimo sole d’estate, e che d’inverno suscitava in me rassicuranti emozioni insieme a un inspiegabile terrore delle ombre. Non distruggete quell’antica casa in fondo al vicolo, che un giorno mi ha accolto sotto il suo tetto e mi ha dato calore e gioia. Non date fuoco ai miei libri, ai miei vecchi quaderni e alle bozze delle mie poesie, abbandonati nella piccola biblioteca scavata nel muro. Non cancellate la mia memoria. Vi supplico di non farlo! Non bombardate la terra che un giorno mi ha udito cantare e saltare con la felicità di un passero spensierato. Quella terra millenaria, dolcemente solcata dai due fiumi lungo tutto il suo corpo martoriato, e violata dalle ferite del tempo. Non scaricate il fuoco della vostra rabbia sulle sue palme e sulle chiome nere dei suoi cedri, perché ella non ha nessuna colpa. Usate meglio le vostre bombe intelligenti, perché quelle precedenti non hanno funzionato bene. Colpite pure la mia casa e quella dei vicini, la moschea e la chiesa un po’ più in là e il mercato del venerdì nella piazza, come avete fatto la prima volta. Ma vi prego di non radere al suolo la tomba di mio padre. Non cancellate quella fossa che conserva il mio orgoglio e racchiude la memoria infranta della mia famiglia. Non profanate il sepolcro di chi ha trovato la pace e la serenità nel tiepido grembo della terra che tanto amava. Vi scongiuro, non uccidete la mia vecchia madre. Non lasciate che muoia da sola, senza di me, invocando inutilmente il mio nome, con gli occhi rivolti alla mia foto appesa da anni sul muro. Lasciate almeno che l’abbracci per l’ultima volta, che baci le sue mani e pianga a lungo tra le sue braccia, che nasconda il mio volto nel suo petto e chieda perdono E se dovete proprio farlo, se dovete ucciderla senza colpa, allora fatelo, ma con gentilezza. ****** (uccidetela ndr) pure sull’altare del vostro orgoglio ferito, scavate i suoi deboli occhi fino a spegnerne l’ultimo barlume di luce, infliggetele gli ultimi colpi del vostro odio e ridete sadicamente prolungando la sua agonia, mentre lei, nel suo arcaico silenzio, reciterà la sua preghiera, aggiungendone una per me e per voi. Vi chiedo soltanto di essere buoni con lei, è solo una vecchia con il marito morto da più di vent’anni e il figlio esiliato in terra straniera da quasi trenta. Vi chiedo un’ultima cosa, un piccolo favore: quando sarà sul punto di morire diteglielo pure, ditele che sono stato io a permettervi di ucciderla. Ditele che il suo amato primogenito l’ha tradita, l’ha abbandonata al suo fatale destino e non ha potuto fare nulla per salvarla, perché non ha avuto coraggio. Ditele di perdonarmi, perché non sono stato all’altezza delle sue speranze”.

Corsi e ricorsi della storia”, avrebbe detto G.B.Vico. Anche questi sono i profughi di oggi, sfuggiti ad una guerra cruenta. E se non ci commoviamo o pensiamo che sia roba altrui, significa che la nostra civiltà se ne è andata con le bombe.

Redazione: