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Sri Lanka: attentati di Pasqua 2019. Card. Malcolm Ranjith (Colombo), “la nostra gente si sente tradita”

foto SIR/Marco Calvarese

A tre anni di distanza, si torna a parlare degli attentati del 21 aprile 2019 in Sri Lanka, quando il giorno di Pasqua 6 attentatori si fecero esplodere con 6 bombe in 2 chiese cattoliche, una chiesa evangelica e 3 alberghi, causando la morte di 269 persone, di cui 82 bambini e 47 turisti stranieri provenienti da 14 paesi diversi. “In un primo momento appariva come un attentato organizzato da un gruppo di islamici di stampo Isis. Però gradualmente, con il trascorrere del tempo, sono emersi elementi che puntano ad una possibilità di collaborazione tra i terroristi ed i servizi segreti di esercito e Sri Lanka”. A parlare è il card. Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, arcivescovo metropolita di Colombo, raggiunto dal Sir a Roma, a margine del viaggio organizzato per questo anniversario in Vaticano, per incontrare Papa Francesco assieme a 47 fedeli feriti durante gli attentati. “In un primo momento, quando ho visto i massacri, per me è stato un grande shock”, dichiara il cardinale che da subito non ha creduto alla teoria dell’attentato di stampo religioso, “ho fatto subito appello alla calma e tranquillità, dicendo che ci poteva essere un complotto”. Nel tempo si sono succedute proteste e richieste di chiarimenti nei confronti del governo, che però non hanno portato a nulla, ma secondo il porporato sarebbe chiaro come gli attentati siano stati un tentativo dell’attuale governo di vincere le elezioni creando terrore nel Paese, facendo credere ad una minaccia di estremisti islamici e convogliando quindi i voti nella loro direzione. Una teoria che trova conforto anche nel risultato elettorale che ha visto Nandasena Gotabaya Rajapaksa, diventare presidente con i voti compatti di buddisti e cattolici singalesi, mentre Tamil e musulmani hanno votato contro. Il nuovo governo ha però creato in breve tempo molto malcontento, trovando il dissenso della popolazione che ora ne vorrebbe la caduta, come testimoniato da una petizione firmata da buddisti e cattolici. Infatti questo sarebbe interessato da accuse di corruzione con soldi investiti all’estero, testimoniate anche dalle nomine parentali effettuate dal presidente che, in un periodo di grave crisi economica che il Paese sta affrontando, appaiono insopportabili. Mosso dalla voglia di fare giustizia, a febbraio il card. Malcolm Ranjith si è recato in Vaticano per incontrare Papa Francesco, che lo ha incoraggiato ad andare a Ginevra dove il caso è stato esposto a Michelle Bachelet, capo dell’Onu, e quindi a tutta l’assemblea generale dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. “Abbiamo pensato di dare un’ulteriore spinta a questa campagna, organizzando una commemorazione del terzo anno degli attacchi a Roma, con la partecipazione del Santo Padre che ha fatto un bel discorso, incoraggiandoci”, le parole del cardinale che fanno riferimento in particolare al momento del discorso in cui Papa Francesco ha affermato “Non vorrei finire senza fare un appello alle Autorità del vostro Paese. Per favore e per amore alla giustizia, per amore al vostro popolo, che si chiarisca definitivamente chi sono stati i responsabili di questi eventi. Questo porterà pace alla vostra coscienza e alla Patria”. Il porporato singalese non vuole fermarsi ed il suo impegno in favore della giustizia, ora guarda alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, auspicando ad un processo indipendente. “Noi vogliano dalla comunità internazionale appoggio, perché è un caso tipico di come la corruzione entra nel sistema governativo, e chi ha il potere possa abusare di questa posizione per controllare tutto attraverso dei complotti”, le parole del card. Malcolm Ranjith che conclude “La nostra gente è colpita, si sentono traditi perché sono stati usati come uno strumento per arrivare al potere”.

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