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Referendum del 12 giugno – Le schede dei cinque quesiti

Di Stefano De Martis

Il 12 giugno gli elettori saranno chiamati a pronunciarsi su cinque referendum in materia di giustizia. Vediamo in estrema sintesi – e scontando quindi un’inevitabile semplificazione di questioni talvolta molto complesse – i contenuti di questa consultazione che, come sempre per i referendum abrogativi, sarà valida se parteciperà al voto la metà più uno degli aventi diritto.

Limitazione delle misure cautelari. Il referendum propone di ridurre i casi in cui possono essere comminate misure cautelari (in carcere o secondo altre modalità) a una persona gravemente indiziata. Dei tre motivi previsti – pericolo di fuga, di inquinamento delle prove, di reiterazione del reato – il quesito interviene sul terzo che, secondo i promotori, è quello che viene più frequentemente utilizzato per adottare la custodia cautelare. L’obiettivo dichiarato è di limitare l’uso di uno strumento che presenta il rischio di determinare l’ingiusta detenzione di cittadini prima che il processo ne accerti la colpevolezza. I contrari al referendum sostengono che, in caso di abrogazione, le misure cautelari diverranno inapplicabili al di fuori della sfera ristretta dei delitti di criminalità organizzata, di eversione o commessi con l’uso della violenza o di armi.

Giudici e pubblici ministeri. Il referendum propone di azzerare la possibilità che nel corso della sua carriera un pubblico ministero possa diventare giudice e viceversa. Attualmente il passaggio è possibile quattro volte, la riforma Cartabia in corso di approvazione ne prevede una sola. Secondo i promotori l’intercambiabilità tra funzione requirente (la cosiddetta pubblica accusa) e quella giudicante compromette la “terzietà” del giudice. Ogni magistrato, invece, deve scegliere una volta per tutte quale funzione svolgere perché solo così – sostengono i promotori – si potrà creare “un sano e fisiologico antagonismo tra poteri”, scongiurando il formarsi di uno “spirito corporativo” tra le due figure. I contrari affermano che la rigida separazione delle funzioni trasformerebbe il pm in un “accusatore puro”, con l’unico obiettivo della condanna dell’imputato e non di fare una indagine il più completa possibile per arrivare a una sentenza che tenga conto di tutti gli elementi raccolti intorno a quella fattispecie di reato.

Consigli giudiziari. Il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e i Consigli giudiziari territoriali sono organismi che forniscono pareri al Csm, a cui secondo la Costituzione spettano le decisioni sul percorso professionale e sui provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. Nei Consigli sono presenti nella misura di un terzo anche avvocati e professori universitari (“membri laici”) che però non partecipano alle decisioni sui pareri relativi alla professionalità dei magistrati. Il referendum propone di abrogare questo limite, con la finalità di rendere più oggettive le valutazioni grazie all’apporto di soggetti estranei all’ordine giudiziario. I contrari mettono in guardia dal rischio di cortocircuiti tra avvocati e magistrati che operano nello stesso distretto e che potrebbero essere reciprocamente influenzati nei loro comportamenti.

Candidature al Csm. Il referendum propone di abrogare il requisito di almeno 25 firme (fino a un massimo di 50) per la presentazione delle candidature dei magistrati al Csm. Secondo i promotori è un modo per ridurre il “correntismo” tra le toghe, per i contrari è una misura sostanzialmente irrilevante. Sta di fatto che anche la riforma Cartabia prevede l’eliminazione delle firme e se essa dovesse diventare legge in tempo utile, il referendum sarebbe superato.