Di Filippo Passantino
La parabola di Giobbe, l’attenzione al valore degli anziani, il monito nei confronti di una “religiosità moralistica e di precetti”. Un filo rosso unisce questi aspetti nella catechesi pronunciata ieri da Papa Francesco, all’udienza generale in piazza San Pietro. Nel discorso in lingua italiana, il Pontefice, continuando il ciclo di catechesi sulla vecchiaia, ha incentrato la sua riflessione sul tema: “Giobbe. La prova della fede, la benedizione dell’attesa” (Lettura: Gb 42,1-6.12.16). “In questo passaggio conclusivo del libro, quando Dio finalmente prende la parola, Giobbe viene lodato perché ha compreso il mistero della tenerezza di Dio nascosta dietro il suo silenzio – ha osservato il Pontefice -. Dio rimprovera gli amici di Giobbe che presumevano di sapere tutto, di Dio e del dolore, e, venuti per consolare Giobbe, avevano finito per giudicarlo con i loro schemi precostituiti”. Nelle parole di Francesco una condanna di “questo pietismo ipocrita e presuntuoso”.
Quando la protesta è preghiera. L’attenzione del Papa si è concentrata su un aspetto particolare: “Dice il Signore: Giobbe ha parlato bene, anche quando era arrabbiato, perché ha rifiutato di accettare che Dio sia un ‘Persecutore’”. “E in premio Dio restituisce a Giobbe il doppio di tutti i suoi beni, dopo avergli chiesto di pregare per quei suoi cattivi amici”. Poi, il focus sul “punto di svolta della conversione della fede al culmine dello sfogo di Giobbe”. Che il Papa ha interpretato con queste parole: “Mio Dio, io so che Tu non sei il Persecutore. Il mio Dio verrà e mi renderà giustizia”. Dal libro di Giobbe alla realtà quotidiana, il Papa ha sottolineato che quella parabola “rappresenta in modo drammatico ed esemplare quello che nella vita accade realmente”. “Cioè che su una persona, su una famiglia o su un popolo si abbattono prove troppo pesanti, sproporzionate rispetto alla piccolezza e fragilità umana. Nella vita spesso, come si dice, ‘piove sul bagnato’. E alcune persone sono travolte da una somma di mali che appare veramente eccessiva e ingiusta”. Il riferimento è ai “genitori di bambini con gravi disabilità, o a chi vive un’infermità permanente o al familiare che sta accanto”. “Situazioni spesso aggravate dalla scarsità di risorse economiche”. Poi, lo sguardo si è spostato a “certe congiunture della storia”. “Questi cumuli di pesi sembrano darsi come un appuntamento collettivo. È quello che è successo in questi anni con la pandemia di Covid-19 e che sta succedendo adesso con la guerra in Ucraina”.
“Esiste una sorta di diritto della vittima alla protesta, nei confronti del mistero del male, diritto che Dio concede a chiunque, anzi, che è Lui stesso, in fondo, a ispirare”.
Ricordando suoi dialoghi con fedeli, il Papa ha ribadito che “la protesta è un modo di preghiera, quando si fa così”. “Quando i bambini, i ragazzi protestano contro i genitori, è un modo per attirare l’attenzione e chiedere che si prendano cura di loro. Se tu hai nel cuore qualche piaga, qualche dolore e ti viene voglia di protestare, protesta anche contro Dio, Dio ti ascolta, Dio è Padre, Dio non si spaventa della nostra preghiera di protesta, no! Dio capisce”.
Dalle parole di Francesco emerge una certezza: “La preghiera dev’essere così, spontanea, come quella di un figlio con il padre, che gli dice tutto quello che gli viene in bocca perché sa che il padre lo capisce. Il “silenzio” di Dio, nel primo momento del dramma, significa questo. Dio non si sottrarrà al confronto, ma all’inizio lascia a Giobbe lo sfogo della sua protesta, e Dio ascolta. Forse, a volte, dovremmo imparare da Dio questo rispetto e questa tenerezza”. E avverte: “A Dio non piace quella enciclopedia – chiamiamola così – di spiegazioni, di riflessione che fanno gli amici di Giobbe. Quello è succo di lingua, che non è giusto: è quella religiosità che spiega tutto, ma il cuore rimane freddo. A Dio non piace, questo. Piace più la protesta di Giobbe o il silenzio di Giobbe”.
Il valore degli anziani contro il male. L’attenzione del Papa si è poi spostata sulla “professione di fede di Giobbe” con il suo “incessante appello a Dio a una giustizia suprema”: “Questa testimonianza è particolarmente credibile se la vecchiaia se ne fa carico, nella sua progressiva fragilità e perdita – ha osservato Francesco -. I vecchi ne hanno viste tante! E hanno visto anche l’inconsistenza delle promesse degli uomini. Uomini di legge, uomini di scienza, uomini di religione persino, che confondono il persecutore con la vittima, imputando a questa la responsabilità piena del proprio dolore”. Infine, dal Papa l’incoraggiamento a seguire i “vecchi” che “trovano la strada di questa testimonianza, che converte il risentimento per la perdita nella tenacia per l’attesa della promessa di Dio”: “Sono un presidio insostituibile per la comunità nell’affrontare l’eccesso del male”.