Chiara Griffini
Il progetto Safe risponde alla chiamata di Papa Francesco nella lettera al Popolo di Dio dell’agosto 2018, in cui il Santo Padre diceva: “l’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio.”
Un popolo di Dio, quello coinvolto dal progetto Safe, fatto di laici e laiche che sono mamma e papà, allenatori e allenatrici, dirigenti sportivi, educatrici ed educatori in percorsi associativi parrocchiali e diocesani, insegnanti, e anche con alcuni sacerdoti impegnanti nella pastorale giovanile, dello sport e familiare, per due anni si è formato per promuovere ambienti educativi sicuri laddove ciascuno vive la sua quotidianità.
Un segno chiaro questo che la tutela dei minori e delle persone vulnerabili riguarda e impegna tutti e tutti i contesti abitati dai minori oggi, nel reale e nel virtuale.Un abuso commesso in un contesto ha effetti su tutti i contesti vissuti dalla vittima e dall’autore del reato, ma anche una politica di tutela e un’azione preventiva compiuta in un contesto abitato da un minore ha ricadute su tutti i contesti in cui il minore si muove e nel suo movimento li mette inevitabilmente in rete. Se l’abuso genera divisione all’interno del contesto in cui si verifica, alla luce del progetto Safe possiamo dire chela prevenzione come promozione di relazioni generative e di salvaguardia non può che generare alleanze per un’azione di tutela permanente.Prevenzione agli abusi allora come promozione di una “cura responsabile” negli adulti verso i minori e le persone più vulnerabili, affinché questi si sentano accolti e protetti all’interno di una relazione educativa capace di fornire un sostegno al tempo stesso affettivo ed etico-normativo.Adulti che si rendono affidabili nei processi comunicativi e nelle relazioni fatte di gesti improntati alla cultura del confine e del rispetto dell’intimità propria e altrui.Sono state formate cosi 1200 persone, tra singoli associati di Comunità Papa Giovanni XXIII, Azione cattolica italiana, Centro sportivo italiano, e rispettivi leader locali e nazionali. Si tratta di persone che hanno dedicato tempo ed energie al riflettere su se stessi, sul proprio modo di relazionarsi con i minori all’interno dei rispettivi contesti di vita e di azione educativa e sociale, confrontandosi per costruire percorsi di tutela condivisi e trasparenti, affinando l’individuazione di fattori di rischio e fattori di protezione che possono mantenere sicuro un contesto familiare, sportivo, aggregativo, o al contrario renderlo abusante.Il contesto è proprio ciò che può fare la differenza,perché è sul contesto che i presunti autori agiscono mediante un’azione annebbiante del medesimo in termini di manipolazione della fiducia e del potere loro conferito.
Un contesto formato è un contesto che non solo sa rilevare e ascoltare i “campanelli di allarme”, ma li sa trattare con delicatezza e tempestività,creando e favorendo una relazione autenticamente generativa e di fiducia, in modo da soddisfare i bisogni evolutivi dei minori e permettere loro di non essere solo beneficiari passivi, ma di diventare i protagonisti attivi nel proprio percorso di crescita.