È arrivata l’estate. Lo dicono le nostre colline con le loro macchie di giallo che parlano di mietitura. Anche il percorso sinodale delle nostre Chiese è arrivato alla sintesi. Come ogni contadino attende il raccolto, così anche noi siamo desiderosi di conoscere quanto è emerso attraverso i 50.000 gruppi di ascolto tenuti in Italia.
Senz’altro è stata una grazia, dopo la chiusura del tempo pandemico, potersi incontrare e mettersi in ascolto. È vero che le persone coinvolte sono state quelle più vicine alla Chiesa, tra l’altro non è un dato scontato che vengono ascoltate, ma il tempo ristretto non ha permesso di fare altrimenti. Dalle 1600 pagine arrivate alla CEI, dice Mons. Bulgarelli, vien fuori la voglia di Parrocchia, anche se non come è in questo momento. Si desidera una parrocchia non tanto come luogo dove fare delle cose, ma dove vivere relazioni autentiche. Una comunità dove ci si ascolta senza giudicare, ci si accoglie e ci si prende cura gli uni degli altri, si vive maggiormente la corresponsabilità tra laici e clero, ci si innamora di questa nostra storia, ci si sente veramente a casa. Per essere sintetici c’è voglia di comunità affettive.
In fondo si tratta di entrare sempre di più nella logica del Concilio, tornando a far tesoro dell’esperienza della prima comunità cristiana che, per nulla intimorita dai cambiamenti della storia, ha saputo individuare nuove e impensabili possibilità di evangelizzazione. Occorre star dentro il proprio tempo, docili alla fantasia dello Spirito, guardando con speranza al futuro, coscienti che non è solo nelle nostre mani, ma prima ancora nel cuore di Dio. Tutto questo richiede una grande attenzione alla persona. Paolo VI, chiudendo il Concilio, ebbe a dire che il Vaticano II si era assai occupato della Chiesa, ma lo aveva fatto con una particolare attenzione all’uomo contemporaneo, ispirandosi all’antica storia del Samaritano.
Ora se con il grano raccolto si fa il pane, cosa si farà con quanto emerso dai tavoli sinodali?
Innanzitutto non possiamo dimenticare di essere dentro la stagione pandemica che ci ha insegnato in particolare il valore dei gesti, capaci di evangelizzare più di tante parole. Dentro questo scenario sarà da recuperare la bellezza della vita ecclesiale, non riducibile soltanto alla dimensione sacramentale, ma come riscoperta di gioia del Vangelo e di carità. Il grande lavoro sarà quello di riuscire a portare l’esperienza di fede su quella che è la capacità di amare di ciascuno. Un’immagine interessante utilizzata da Mons. Bulgarelli è quella della Chiesa che non fa prevalere le esigenze dell’agenda pastorale sulle necessità della gente.
Ci attende ancora un anno in cui esercitarci nell’ascolto, senza giudizio e senza pregiudizio, senza paura di prendere la parola e senza pensare di perdere tempo. Certo non dobbiamo perdere di vista il senso della sinodalità che, secondo Papa Francesco, consiste nello scambiarsi desideri, sogni, speranze, guardando avanti, perché la risurrezione avviene ogni giorno. Tutto questo va fatto utilizzando un metodo speciale, che stiamo imparando, quello del discernimento comune. Un metodo che ci ha aiutato ad evitare critiche distruttive, chiacchiericcio e polemiche sterili. Chiaramente è da far prevalere lo stile di Dio che, come ricorda continuamente il papa, è fatto di misericordia, tenerezza e compassione, scommettendo sulla gratuita.
Ci si può chiedere in che modo questo percorso sinodale riguardi e coinvolga le Caritas. Il cardinale Matteo Zuppi, all’ultimo convegno delle Caritas, ha ribadito con forza che la Caritas è chiesa e la Chiesa è Caritas. Ed allora cominciamo a camminare insieme, dentro le nostre comunità, senza fare troppe distinzione, sapendo che tutti siamo poveri e che nessun povero non ha nulla da donare.