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Atzori: “Il nostro impegno accanto a sfollati e ospedali in Ucraina e rifugiati in Moldavia”

(Foto: Medici con l’Africa Cuamm)

Di Gigliola Alfaro

Giovedì 23 giugno si è tenuta la consegna ufficiale alle autorità locali e all’associazione Vrb di Chernivtsi, in Ucraina, del carico di 6 tonnellate di beni primari e sanitari, inviati dall’Italia e messi a disposizione della popolazione, attraverso il lavoro di Medici con l’Africa Cuamm. Un “dono indispensabile”, sottolinea l’ong, per aiutare le migliaia di sfollati interni che sono arrivati in quest’area del Paese, meno colpita dal conflitto, ma che necessitano di tutto, dal cibo al sapone per l’igiene personale, dall’assistenza sanitaria in ospedale a una casa in cui abitare, spiega una nota del Cuamm. Partito da Brindisi ai primi di giugno, il carico è stato stoccato a Siret, nel distretto di Suceava, in Romania per arrivare poi a Chernivtsi. Comprende kit medici (chirurgici, post traumatici e per il trattamento di malattie non trasmissibili) e beni umanitari (tra cui tende, coperte, stufe per tende, kit igienico-sanitari e taniche per la raccolta dell’acqua) ed è stato messo a disposizione dalla Cooperazione italiana. A beneficiarne sono principalmente gli sfollati interni che risiedono a Chernivtsi e gli ospedali di 13, delle 24, oblast (regioni) del Paese.“La nostra storia, come Cuamm, ci ha sempre portato a lavorare in Africa, per i più fragili e deboli, vicini a chi soffre di più, come le donne e i bambini. Così non potevamo voltare le spalle a un popolo vicino, quello ucraino, che sta soffrendo così duramente oggi”, evidenzia don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm.

(Foto: Medici con l’Africa Cuamm)

“Medici con l’Africa Cuamm ha iniziato questo intervento a supporto del Paese aggredito in Ucraina stessa e in Moldavia, dove assistiamo i rifugiati ucraini”, spiega al Sir Andrea Atzori, responsabile delle relazioni internazionali di Medici con l’Africa Cuamm, da pochi giorni rientrato in Italia dalla missione in Ucraina. Nel Paese invaso dai russi, chiarisce,“l’intervento ha due assi principali: il primo è la fornitura di farmaci essenziali, che mancano a causa della guerra, il materiale monouso, i farmaci per le malattie croniche, tutto quello che serve per gli ospedali per funzionare in una situazione di crisi umanitaria forte”.Il secondo asse è

“l’assistenza ai rifugiati interni. Abbiamo costruito una base logistica nella città di Chernivtsi,

che normalmente conta sui 200mila abitanti, mentre oggi supera i 350mila abitanti, perché in questa regione – relativamente più calma – sono arrivate moltissime persone, fuggite dalle regioni dove il conflitto è più intenso. Questa città ospita scuole negli uffici pubblici e in varie strutture. L’assistenza che forniamo a queste persone va dal pacco alimentare, che va a integrare quello che ricevono dal governo, ad attività di supporto psicosociale”. In Ucraina il Cuamm lavora in partnership con un’associazione locale che si chiama Vrb (Volontari della Bucovina) di Chernivtsi: “Noi li stiamo aiutando, abbiamo creato un magazzino logistico, inviamo il materiale nella città di Chernivtsi e l’associazione, con i suoi volontari e i suoi furgoncini, consegna i materiali a tutti gli ospedali che fanno richiesta in buona parte dell’Ucraina. In questo ambito, oltre a quello che siamo riusciti a fornire noi con varie progettualità, c’è stata una donazione della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del Maeci al Cuamm attraverso l’hub umanitario di Brindisi”. C’è stata così la spedizione da Brindisi a Chernivtsi che è stata consegnata all’associazione Vrb e alle autorità locali della regione di Chernivtsi.“Il carico comprendeva farmaci, materiale chirurgico, materiale monouso, materiale per assistenza alle persone come dei kit cucina, kit igiene e tende con kit invernale nel caso in cui il conflitto si dovesse protrarre e le persone non possano essere assistite diversamente”, racconta Atzori.

Il responsabile delle relazioni internazionali di Medici con l’Africa Cuamm chiarisce: “L’Ucraina è una delle tante emergenze che il Cuamm segue e anche io seguo personalmente, che vanno dall’Ucraina, ma passa per l’Etiopia, dove c’è la situazione difficile in Tigray, in Mozambico con Cabo Delgado e nel Sud dell’Angola, dove c’è una carestia causata dalla siccità. Abbiamo diversi interventi umanitari, il modello che stiamo usando in Ucraina non è diverso da alcune modalità che abbiamo già utilizzato per altre emergenze e anche, per esempio, per il Covid, tanto è vero che questo carico da Brindisi a Chernivtsi non è altro che l’ennesimo carico che facciamo: abbiamo già inviato da Brindisi degli aiuti in Sud Sudan, in Etiopia e in Mozambico negli scorsi 18 mesi”.In Ucraina, prosegue, “speriamo di continuare a mantenere anche nei prossimi mesi questo aiuto umanitario. Ora siamo in preparazione di un grosso carico di farmaci grazie al contributo dell’Ukraine Humanitarian Fund (Uhf), che è un fondo delle Nazioni Unite, e stiamo facendo un’operazione per inviare del cibo grazie a donazioni private, nelle prossime settimane”.

In Moldavia “è un intervento diverso, è un Paese che ha le sue fragilità, non è Europa, ha sacche di povertà. In questo caso

è un intervento mirato ad assistere i rifugiati che scappano dall’Ucraina.

L’assistenza avviene attraverso l’invio di medici, ne mandiamo un paio ogni 15 giorni – precisa Atzori -. Questi medici fanno il giro dei vari luoghi dove sono alloggiati i rifugiati, fornendo visite mediche ed eventualmente prescrizioni e farmaci di base. I casi più gravi li riferiamo al Sistema sanitario moldavo. Questo primo intervento è fatto con risorse e volontari del Cuamm”.Il secondo intervento in Moldavia, che “dovrebbe partire ad agosto in partnership con l’Unicef”, è “una risposta a una richiesta che ci ha rivolto il Ministero della Salute moldavo e riguarda la formazione del personale sanitario moldavo nelle emergenze.Non avendo una grande tradizione di lavoro in emergenze e con un numero così alto di rifugiati, ci hanno chiesto di fare dei pacchetti formativi in modo che gli ospedali sappiano come gestire i grandi flussi di pazienti, ma anche un intervento formativo legato alla gestione delle epidemie e dei disastri non solo legati alla guerra”, afferma il responsabile delle relazioni internazionali di Medici con l’Africa Cuamm. “I problemi di salute dei rifugiati in Moldavia – chiarisce Atzori – sono legati principalmente alle malattie croniche, è una popolazione composta da donne, bambini e anziani, molti dei quali hanno problemi cronici come avviene anche da noi (ipertensione o altre patologie o casi più gravi).I nostri medici visitano i rifugiati, rivedono tutto il quadro clinico e danno le prescrizioni necessarie. Molte persone sono scappate nelle prime settimane di guerra, non hanno portato con loro i farmaci e tutta la documentazione clinica, quindi si tratta di ricostruire la storia clinica e rimetterli in trattamento a seconda delle patologie che hanno. Il secondo punto di intervento che vorremmo sviluppare è sul fronte psicologico, ma in questo caso si fa più fatica perché quella ucraina è una popolazione che ha un po’ di stigma rispetto all’intervento psicologico”. “Notiamo – evidenzia Atzori – che il trauma è molto grande. Nelle famiglie sono scappati donne, bambini, ma gli uomini fino a 60 anni sono stati costretti a restare per combattere. C’è una popolazione anziana che ha dovuto lasciare le proprie case e non sa quando mai tornerà.L’impatto psicologico e il trauma sono importanti, ma sono aspetti che stiamo affrontando gradualmente perché riscontriamo una certa resistenza ad aprirsi e ad analizzare questi vissuti.Abbiamo diverso personale che parla ucraino nei due Paesi e fa la parte di mediazione e di ascolto”.

(Foto: Medici con l’Africa Cuamm)

Atzori conclude: “Questa operazione umanitaria non è l’unica che il Cuamm fa, ma viene in aggiunta a una serie di numerosi interventi umanitari che stiamo facendo in Africa. Soprattutto ora

c’è questo filo che tristemente conduce dalla crisi ucraina del grano alla fame in Africa. Per noi intervenire in Ucraina vuol dire anche intervenire in Africa,

vuol dire riprendere quei contatti e modalità di lavoro che pensavamo di non dover fare in Europa, ma che purtroppo ci troviamo a dover portare avanti sempre con la speranza che il conflitto si risolva”.

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