Marco Calvarese
Quando ormai sono già trascorsi oltre 4 mesi da quel 24 febbraio, data in cui la Russia ha invaso il territorio dell’Ucraina, nessuno sembra in grado di prevedere quanto ancora potrà durare la guerra in atto su quel territorio. Per questo motivo, uno dei rischi potrebbe essere quello palesato da Papa Francesco, a più riprese, durante Angelus e udienze, cioè che si dimentichi il conflitto o che ci si abitui a questo orrore che potrebbe non scandalizzare e non muovere più le coscienze delle persone, come registrato soprattutto in principio, quando tutti si sono dati da fare per offrire il loro contributo. Sull’onda dell’emotività si sono viste scene indimenticabili come quella nella basilica di Santa Sofia a Roma, dove centinaia di persone in modo volontario si sono date da fare per raccogliere, distribuire e caricare sui camion tutta la marea di cibo, medicine, vestiti e altro ancora che altre centinaia di persone consegnavano durante tutta la giornata alla comunità ucraina per farla arrivare a chi era sotto le bombe.
“Il centro di raccolta si è organizzato autonomamente subito. Già al terzo giorno di guerra, la gente ha cominciato a rispondere”, dice don Marco Jaroslav Semehen, rettore della basilica di Santa Sofia a Roma e direttore Migrantes dell’Esarcato apostolico degli ucraini in Italia: “È stata una risposta del popolo italiano, dei cittadini e delle diverse realtà parrocchiali e di volontariato come la Protezione civile. Quasi tutti hanno risposto con una generosità immensa”. Durante tutto questo periodo dalla basilica si Santa Sofia sono partiti più di 60 camion di 20 tonnellate ognuno, oltre a decine di pulmini, grazie ai quali sono state raggiunte più velocemente le località più isolate e difficili in Ucraina, dove mancavano cibo, medicinali, materiale igienico ed ogni altro bene di prima necessità, a partire dai vestiti che oggi però non sono più una necessità, al contrario di tutto il resto. “Serve il cibo perché sta nascendo una crisi umanitaria, con tante persone sfollate anche internamente che hanno bisogno di mangiare. Le città sono distrutte e viene richiesto materiale igienico, medicine e materiale sanitario di qualsiasi tipo per ospedali e persone”, aggiunge don Semehen che, tra le molte donazioni, ha ricevuto da Banco Farmaceutico 20mila pillole metformina per il diabete, che sono state immediatamente inviate a Charkiv, Buča ed altre città bombardate e che più soffrono.
Anche Papa Francesco è intervenuto con la donazione di carichi importanti di medicinali e aiuti destinati alle persone che si trovano in Ucraina e agli sfollati, oltre che con l’idea della “Medaglia della pace”, la cui vendita servirà per raccogliere fondi utili al sostentamento della causa. “C’è stato un rallentamento molto forte ma questo è naturale, perché quando la guerra si allunga non fa più notizia, come capita per tutte le guerre che ci sono nel mondo. Noi continuiamo a bussare a diverse realtà, chiedendo un aiuto per poter continuare la nostra missione perché c’è veramente bisogno”, dichiara il rettore della basilica di Santa Sofia a Roma che, come tutti gli ucraini, si augura la fine della guerra e delle sofferenze della gente innocente, con la possibilità di rientrare nel proprio Paese per chi è dovuto fuggire, anche se questo non sarà possibile per chi non ha più dove andare, visto che le loro città sono state rase al suolo. “Grazie per quello che avete fatto. Vi chiedo, se potete, aiutate ancora l’Ucraina attraverso noi o altre comunità ucraine perché c’è ancora bisogno”.
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