C’è un fil rouge che lega le letture di questa domenica, quattordicesima del tempo ordinario: la pace. Scelse altri settantadue discepoli “e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”. Li scelse – “designò” leggiamo in Luca – e li inviò per portare un messaggio di speranza e di consolazione, di pace e di carità. È questo l’impegno chiesto agli “operai” di Dio, cioè a coloro che “sono chiamati a operare, a evangelizzare mediante il loro comportamento”. La missione evangelizzatrice, afferma Papa Francesco all’Angelus, “non si basa sull’attivismo personale, ma sulla testimonianza di amore fraterno, anche attraverso le difficoltà che il vivere insieme comporta”. Inviò, dunque, i settantadue discepoli, dicendo: prima di entrare “dite pace a questa casa”.
Nella basilica di San Pietro, Messa per la comunità congolese – oggi doveva essere in Congo e poi Sudan – il vescovo di Roma dice che la pace nasce “dal cuore di ciascuno”. Se vivi la pace di Gesù famiglia e società cambiano: “cambiano se per prima cosa il tuo cuore non è in guerra, non è armato di risentimento e di rabbia, non è diviso, doppio e falso. Mettere pace e ordine nel proprio cuore, disinnescare l’avidità, spegnere l’odio e il rancore, fuggire la corruzione, gli imbrogli e le furberie: ecco da dove inizia la pace”.
Settantadue discepoli. Come dire che Gesù li manda in tutto il mondo, testimoni della sua parola. Luca, nel Vangelo, con il numero settantadue fa riferimento alle nazioni straniere citate nella Genesi; così settanta, secondo la tradizione rabbinica, sarebbero i popoli che hanno ascoltato la legge al monte Sinai; sempre 70 gli anziani scelti da Mosè. E infine settanta, o settantadue, sarebbero coloro che hanno tradotto la Bibbia in greco, detta “dei settanta”. Ecco un legame ulteriore, una continuità tra Antico e Nuovo Testamento.
Li invia a due a due, perché la missione non sia dei “solitari”. I discepoli, ha affermato Francesco, “non sono dei battitori liberi, dei predicatori che non sanno cedere la parola a un altro. È anzitutto la vita stessa dei discepoli ad annunciare il Vangelo: il loro saper stare insieme, il rispettarsi reciprocamente, il non voler dimostrare di essere più capace dell’altro, il concorde riferimento all’unico Maestro”.
Le “istruzioni” che Gesù affida ai settantadue non sono tanto su “cosa devono dire” ma piuttosto “su come devono essere”. Perché, afferma il Papa, “si possono elaborare piani pastorali perfetti, mettere in atto progetti ben fatti, organizzarsi nei minimi dettagli; si possono convocare folle e avere tanti mezzi; ma se non c’è disponibilità alla fraternità, la missione evangelica non avanza”.
Quindi chiede, com’è sua abitudine quando si rivolge, e coinvolge le persone, non solo all’Angelus: come portiamo agli altri la buona notizia: “lo facciamo con spirito e stile fraterno, oppure alla maniera del mondo, con protagonismo, competitività ed efficientismo”. Abbiamo “la capacità di collaborare”; ancora “sappiamo prendere decisioni insieme, rispettando sinceramente chi ci sta accanto e tenendo conto del suo punto di vista”; infine, “lo facciamo in comunità, non da soli. Infatti, è soprattutto così che la vita del discepolo lascia trasparire quella del Maestro, annunciandolo realmente agli altri”.
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