Giuseppe Midili
Prosegue la riflessione di Papa Francesco sull’attuazione della riforma liturgica. Dopo “Traditionis Custodes”, nella nuova Lettera apostolica “Desiderio Desideravi” egli consegna alla Chiesa un testo sulla formazione del popolo di Dio. Non un’istruzione pratica o un direttorio, ma piuttosto una meditazione che aiuta a comprendere la bellezza della verità della celebrazione liturgica (n. 21). Un invito a riscoprire, custodire e vivere la verità e la forza del rito, perché – scrive Francesco – la liturgia non ha nulla a che vedere con il moralismo ascetico. L’incontro con Dio non è il frutto di una ricerca interiore individuale del Cristo, ma è evento donato, che appartiene e coinvolge tutta la totalità dei fedeli riuniti in Lui. La comunità ecclesiale entra nel Cenacolo per la forza di attrazione del desiderio di Gesù che vuole mangiare la Pasqua con noi (Lc 22,15).
Il documento, suddiviso in sessantacinque paragrafi, propone una serie di spunti sulla teologia della liturgia, come fondamento dell’itinerario di formazione. La celebrazione, spiega il Papa, non si può ridurre a una assimilazione mentale di una idea, ma è un reale coinvolgimento esistenziale con la persona di Cristo Gesù.
I ministri ordinati sono chiamati a prendere per mano i fedeli battezzati e iniziarli all’esperienza ripetuta della Pasqua. Il presbitero è una particolare presenza del Signore risorto, che è l’unico protagonista dell’azione celebrativa: “non lo sono di certo le nostre immaturità che cercano, assumendo un ruolo e un atteggiamento, una presentabilità che non possono avere” (57). È la celebrazione stessa, insieme con l’esercizio del ministero, che educa i sacerdoti a una qualità della presidenza, li forma con le parole e i gesti che la liturgia mette sulle loro labbra e nelle loro mani.
La Lettera “Desiderio Desideravi” chiarisce bene cosa significa nella Chiesa di oggi formazione liturgica: uno studio della liturgia, che – fuori del contesto esclusivamente accademico – guidi ogni fedele alla conoscenza dello sviluppo del celebrare cristiano, perché tutti siano capaci di comprendere i testi delle preghiere, i dinamismi rituali, la loro valenza antropologica (35). Tutto questo non si conquista una volta per sempre, ma occorre una formazione permanente, caratterizzata “dall’umiltà dei piccoli, atteggiamento che apre allo stupore” (38).
L’aver perso la capacità di comprendere il valore simbolico del corpo e di ogni creatura – chiarisce Papa Bergoglio – rende il linguaggio simbolico della liturgia quasi inaccessibile all’umanità di questo tempo. C’è la tentazione di rinunciarvi, di scadere nel didascalico. L’umanità contemporanea – per citare Guardini – deve diventare nuovamente capace di simboli e questo recupero avviene solo riacquistando fiducia nei confronti della creazione. “Se le cose create sono parte irrinunciabile dell’agire sacramentale che opera la nostra salvezza, dobbiamo predisporci nei loro confronti con uno sguardo nuovo, non superficiale, rispettoso, grato” (46).