(Foto ANSA/SIR)

Il Censis rinnova la classifica annuale delle università italiane. “Si tratta – spiega un comunicato – di un’articolata analisi del sistema universitario basata sulla valutazione degli atenei (statali e non statali, divisi in categorie omogenee per dimensioni) relativamente a: strutture disponibili, servizi erogati, borse di studio e altri interventi in favore degli studenti, livello di internazionalizzazione, comunicazione e servizi digitali, occupabilità”. Stilate 69 graduatorie, a partire da 924 variabili considerate, “che possono aiutare i giovani e le loro famiglie a individuare con consapevolezza il percorso di formazione”.
Anzitutto si registra una diminuzione delle immatricolazioni: -2,8%. “Il paventato crollo delle immatricolazioni per effetto della crisi pandemica, evitato l’anno precedente grazie alle misure emergenziali messe in atto per contrastarlo, si è verificato nell’anno accademico 2021-2022, quando i nuovi iscritti si sono ridotti del 2,8%. Una variazione che equivale a 9.400 studenti in meno, la cui decisione di non iscriversi è il risultato di criticità congiunturali e di iniquità strutturali, che condizionano l’accesso alla formazione universitaria”.
Sono di più i maschi (-3,2%) delle femmine (-2,6%) a decidere di non proseguire gli studi. E sono gli atenei del Sud a registrare la variazione negativa più marcata: -5.1%. I corsi afferenti alle discipline Stem (Science, technology, engineering and mathematics) sono quelli in cui si è registrata la minore riduzione di nuovi iscritti. “Otto rettori su dieci sostengono che la crisi economica è la causa principale del calo delle immatricolazioni”.

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