“Lo sblocco dei porti sul Mar Nero e sul Danubio è vitale per l’export di 21 milioni di tonnellate di grano che l’Ucraina stima di produrre quest’anno nonostante la guerra”. È quanto afferma la Coldiretti sulla base degli ultimi dati Uga (l’associazione dei produttori, trasformatori ed esportatori di cereali ucraini) in riferimento all’arrivo delle prime otto navi straniere in porti ucraini lungo il canale Danubio-Mar Nero per avviare le operazioni di carico alla vigilia dell’incontro a Istanbul tra Russia, Ucraina e Onu sulle esportazioni di grano ucraino. “Le ultime stime sulle produzioni del Paese invaso dai russi – continua Coldiretti – indicano raccolti in crescita a 27,3 milioni di tonnellate per il mais e a 1,7 milioni per le barbabietole, mentre stabili a 9 milioni di tonnellate i semi di girasole, a 2,2 milioni la soia, a 6,6 milioni l’orzo. Una situazione in miglioramento rispetto alle prime previsioni ma ancora lontanissima – sottolinea Coldiretti – dalle produzioni dell’anno prima della guerra quando sono state raccolte in Ucraina ben 33 milioni di tonnellate di grano, 37,6 milioni di tonnellate di mais, quasi 17 milioni di semi di girasole, oltre 10 milioni di tonnellate di orzo, 3 milioni e mezzo di soia e quasi tre milioni di tonnellate di barbabietole”.
“L’inevitabile indebolimento della produzione agricola ucraina e la paralisi dei porti del Mar Nero hanno sottratto – rileva Coldiretti – un bacino cruciale per l’approvvigionamento alimentare di vaste aree del pianeta. Proprio dai suoi scali l’Ucraina commercializzava prima della guerra il 95% del suo raccolto di grano, un quantitativo pari al 10% degli scambi mondiali”. “Il blocco delle spedizioni a causa dell’invasione russa ha alimentato l’interesse della speculazione sulle materie prime agricole”, spiega la Coldiretti.
L’apertura di corridoi di pace per l’export “è un segnale importante per frenare la corsa dei prezzi dei cereali e rifornire i Paesi più poveri dove la chiusura degli scali rischia di provocare rivolte e carestie. Uno scenario che riguarda in particolare quei 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione e risentono quindi in maniera devastante dall’aumento dei prezzi dei cereali causato dalla guerra”.
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