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Stipendi e pensioni da fame. Rossini (Alleanza contro la povertà): “Serve ridare equilibrio, troppe persone sono a rischio”

foto SIR/Marco Calvarese

Alberto Baviera

“L’acqua si è troppo alzata, qualcuno rischia di annegare”. Usa questa immagine Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza contro la povertà in Italia, per descrivere la situazione di tanti italiani alle prese non solo con rincari diffusi, dalle bollette di luce e gas ai prezzi di molti generi di prima necessità, ma anche con stipendi e pensioni che, per via dell’inflazione, limitano il potere di acquisto. L’Inps lunedì ha diffuso il dato secondo cui per un terzo dei pensionati l’assegno è inferiore ai 1.000 euro al mese mentre pochi giorni fa è stato l’Istat a certificare che, in Italia, uno stipendio su tre non raggiunge i 1.000 euro mensili. Anche per questo si è tornato a parlare di un Paese di lavoratori poveri e che, in prospettiva, saranno anche pensionati poveri.

Come valutate la situazione?
Mi lasci prima fare una considerazione. C’è stato ancora una volta un attacco al Reddito di cittadinanza per dire che i lavoratori non percepiscono neanche quello.

Il problema non è il Reddito di cittadinanza ma che i salari sono molto bassi.

Questa è la vera questione. I dati statistici confermano che rispetto alla media europea l’Italia ha retribuzioni inferiori rispetto agli Stati – Francia, Germania, Austria, la stessa Spagna – con cui amiamo confrontarci. Per cui il problema non è il RdC che interviene sulla linea della povertà assoluta, stabilità dall’Istat con un incrocio di variabili – componenti del nucleo famigliare, area e tipologia del Comune di residenza. I famosi 500 euro del RdC per persona sono la soglia della povertà assoluta media. Il problema non è la coerenza dell’importo del Reddito di cittadinanza con il dato Istat ma l’incoerenza del salario o dello stipendio medio.

È sotto gli occhi di tutti che i livelli di salari e stipendi non sono coerenti con il livello di vita in Italia.

In molti temono un “autunno caldo”. Condivide la preoccupazione?
In prospettiva futura, nell’autunno del 2022, non sarà più sufficiente il Reddito di cittadinanza. Abbiamo calcolato che la crisi generata dalla guerra in Ucraina inciderà, in media, per circa 2mila euro l’anno a famiglia. Il dato potrebbe essere di 1.500 euro per le famiglie più povere e 2.500/3.000 per quelle più ricche. In ogni caso, si tratta di circa uno stipendio in più che andrà speso per riscaldamento, generi alimentari considerata un’inflazione che si attesterà – par di capire – all’8%. Per chi lavora affrontare questo aumento è un conto mentre chi percepisce semplicemente il Reddito di cittadinanza avrà dei problemi.

Si continua a parlare di taglio del cuneo fiscale, salario minimo, rinnovi dei contratti… Cosa serve per invertire la tendenza?
Bisognerebbe riprendere un tema che negli anni ‘50 e ‘60 è stato un cavallo di battaglia dei partiti politici e che ora si è completamente dimenticato: la redistribuzione del reddito. È evidente che per qualcuno sta aumentando significativamente la ricchezza, i dati di Oxfam lo certificano con chiarezza. Aumentano i ricchi ma aumentano pure i poveri, questo significa che c’è un maggiore distanziamento sociale, la forbice si amplia. E

l’unico modo per recuperare sul distanziamento sociale è la redistribuzione dei redditi.

Anche se sembrano temi demodé, forse dobbiamo tornare a parlarne.

E invece…
Si continua ad attaccare i poveri, una cosa che mi stupisce. Ma perché si vuole sempre umiliare i poveri, attaccando il Reddito di cittadinanza? È inaccettabile che i poveri vengano trattati come furbetti o “divanisti”; per carità, qualcuno ce n’è, ma se vengono scoperti vuol dire che c’è anche lo strumento per individuarlo. Siamo i primi a dire che il RdC va riformato, abbiamo presentato 8 proposte. Ma non si può continuamente attaccare i poveri e dire che, in Italia, il problema sono loro.

Noi osserviamo drammaticamente che aumentano i prezzi di qualunque prodotto e il Reddito di cittadinanza non è più coerente con il potere di acquisto in questo Paese. Per questo è necessario riformalo per renderlo adeguato.

Stiamo parlando, secondo i dati dell’Istat, di 5 milioni e mezzo di cittadini in povertà assoluta, quasi un italiano su dieci. Nel nostro Paese la povertà è un problema ma non è che togliendo il RdC risolviamo i problemi di tutti, certamente aggraviamo quelli dei poveri. Sembra che il problema siano i poveri, ma la questione vera è un’altra…

Quale?
C’è un problema legato al lavoro in sé, che siano le politiche attive o i salari. Ancora ultimamente ci sono state affermazioni di imprenditori che dicono di non riuscire a trovare i lavoratori in una situazione nella quale contemporaneamente diamo il Reddito di cittadinanza: il problema, però, è vedere qual è l’offerta lavorativa, il salario, gli orari, le condizioni…

Dall’incontro tra Governo e sindacati è emerso che prima della pausa estiva sarà approvato un nuovo decreto per sostenere salari, pensioni e redditi delle famiglie…
Bisogna intervenire subito, perché

ci sono persone che sono borderline sulla soglia della povertà e che rischiano di finire sotto.

Se, mediamente, ogni famiglia quest’anno dovrà spendere 2mila euro in più e chiaro che un bonus di 200 euro è meglio che niente. Ma è ovvio che occorre un riequilibrio di tutto: salari, stipendi, redditi, sussidi. Serve ridare equilibrio, altrimenti avremo tante persone che si ritroveranno sotto la soglia di povertà.

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