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Diocesi, incontro con il dott. Carletti: “Siamo noi che dobbiamo cambiare: il sinodo sulla sinodalità serve a questo”

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Lo scorso anno il papa Francesco ha detto: ‘Facciamo un sinodo sulla sinodalità’. Questo ha mandato tutti in crisi! Noi, infatti, eravamo abituati a fare un sinodo su una realtà, ad esempio il lavoro, per ascoltare e poi agire su quella realtà portando la nostra parola, il nostro servizio. Il pontefice ha ribaltato tutto: con questo sinodo ci ha fatto comprendere che il problema siamo noi, non sono gli altri. Non si tratta, quindi, di ascoltare le persone per poi andare da loro con dei modelli, dei linguaggi e delle forme che gli altri non riconoscono più. Siamo noi che dobbiamo cambiare. Il sinodo sulla sinodalità serve a questo. Se non facciamo noi una conversione, un’operazione pasquale, cioè non rendiamo nuove tutte le cose, è inutile proporsi, perché non siamo interessanti.

È iniziato così, con questo pensiero forte e altamente spiazzante, l’incontro con il dott. Fabrizio Carletti del Centro Studi “Missione Emmaus”, organizzato dalla Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto delle Marche e tenutosi martedì 30 agosto dalle ore 19.00 alle ore 22.30 presso il teatro San Filippo a San Benedetto del Tronto. L’appuntamento, che ha visto la partecipazione del vescovo Carlo Bresciani e di oltre 50 persone, era riservato ai membri del Consiglio Pastorale Diocesano, ai direttori degli Uffici Pastorali, ai Consigli Pastorali Parrocchiali, ai referenti sinodali delle parrocchie, alla Consulta laicale, all’equipe sinodale e ai facilitatori, alle religiose e ai religiosi.

Tanti i temi trattati dall’illustre ospite. In particolare, in merito al cambiamento epocale che stiamo vivendo, il dott. Carletti ha affermato: “Il sinodo sulla sinodalità è stato incentrato su tre aspetti: forme di comunione, forme di partecipazione e forme di missione. Tra queste parole, la più importante – che infatti viene ripetuta tre volte – è ‘forme’! Per capire cosa sia la forma di cui parla il papa, dobbiamo partire dal riconoscere che non viviamo più un’epoca di cambiamenti, bensì un cambiamento d’epoca, ovvero una frattura molto profonda tra le forme e le parole attraverso le quali viviamo e sperimentiamo la fede e l’esperienza di vita della gente. Le persone, infatti, dentro quelle forme non ci sono più, dentro i nostri orari di incontro non ci stanno più e neanche nelle parole che noi diciamo si riconoscono più, perché non corrispondono alla loro vita. Da cosa capiamo che le persone non stanno più in quelle forme? Ce lo dice lo Spirito Santo! Come?! Non tanto attraverso il sapére (inteso come conoscenza), bensì attraverso il sapĕre, questo verbo latino che indica il gusto, l’avere sapore. Quando mi reco a quella liturgia, ne sento il gusto? Quando vado a quella riunione, ne avverto il sapore? Quando partecipo a quell’iniziativa della parrocchia sento quel gusto che mi accende, mi dà desiderio? Se la risposta è no, non vuol dire che devo smettere di fare o partecipare o che quello che abbiamo fatto finora sia sbagliato. Nel discernimento, infatti, non esiste giusto o sbagliato: esiste cosa è opportuno. Pertanto dobbiamo comprendere che le forme che abbiamo abitato per lungo tempo e che in parte stiamo ancora abitando, erano opportune fino a poco tempo fa, adeguate ad un contesto di cristianità diffusa, ad una società prevalentemente cristiana. Prima, infatti, il cristianesimo era il presupposto; ora, invece, il cristianesimo va proposto. Bisogna quindi passare da un annuncio che si basava sulla convinzione ad un annuncio che si basa sull’attrazione, sul gusto di cui ho detto poco fa, sulla bellezza. È chiaro quindi che, in un momento di frattura, come quello che stiamo vivendo, non basta fare un problem solving, ovvero aggiustare un problemino qua e uno là e ripartire; occorre piuttosto un problem setting, ovvero cambiare forma, assetto, cioè ripensare completamente non l’oggetto della nostra missione, bensì gli strumenti e le modalità con cui la realizziamo. Questa frattura, seppur molto profonda, non deve far paura, perché l’abisso indica anche la risalita.”

L’incontro, allargato ai laici, è arrivato dopo due giorni di laboratorio riservati esclusivamente ai sacerdoti, i quali hanno riflettuto insieme su come accompagnare il processo di cambiamento attraverso il cammino sinodale. “Abbiamo operato in questo modo – ha affermato il dott. Carletti ai nostri microfoni – perché, girando per le diocesi italiane e per gli istituti di religiose e religiosi, ci siamo resi conto che la difficoltà più ricorrente non è tanto di tipo operativo, bensì di consapevolezza, sia da parte di alcuni laici sia da parte di alcuni sacerdoti. Un cambiamento profondo, infatti, nasce dalla percezione dell’urgenza del cambiamento stesso: se questa urgenza non viene percepita, il processo del cambiamento è più lungo. Nel nostro peregrinare abbiamo constatato che spesso alcuni laici, ma anche molti sacerdoti, mostrano una certa resistenza, perché ormai si sono adeguati ad un modello di un certo tipo e ci stanno anche bene, quindi mostrano tanta fatica, perché durante il cambiamento, il mondo di prima si va a disintegrare e questo mette in crisi le persone, i loro valori, le loro idee.”

Quale dunque la strada da seguire? Anche su questo il dott. Carletti ha le idee molto chiare: “Due sono le strade da percorrere: vita comunitaria e corresponsabilità. Restituire importanza alla vita comunitaria significa ridare valore e bellezza alle relazioni. Non c’è cosa peggiore in una comunità che doversi assentare per malattia e non essere cercato da nessuno: ci si sente come se non si facesse parte della comunità! Per quanto concerne il secondo aspetto, vivere la dimensione della corresponsabilità non significa mettere da parte i sacerdoti; al contrario, vuol dire rendere i sacerdoti centrali in questo processo di discernimento, in quanto sono chiamati a creare gli spazi in cui ci si può ascoltare, ascoltare tutti, e, attraverso questo ascolto, raggiungere una sintesi condivisa e partecipe.”

Molto soddisfatto di queste giornate formative il vescovo Carlo Bresciani, il quale, al termine dell’incontro, ha dichiarato: “Grazie al dott. Carletti che ci ha avviato e guidato in questo percorso, un cammino non di scelte e decisioni, bensì di discernimento per arrivare insieme a comprendere quello che il Signore ci sta chiedendo. Sono contento di vedervi qui numerosi. Vi confesso che, alla vigilia di queste giornate, ho pensato: ‘Chissà quale sarà la partecipazione?’ E invece lo Spirito Santo fa delle belle sorprese! La vostra presenza significa che c’è una sensibilità, una prontezza, una disposizione al cambiamento. Grazie quindi per la vostra presenza che è, anche per me, motivo di consolazione.”

Siamo in un cambiamento d’epoca – ha concluso il vescovo Bresciani – e abitare i cambiamenti non è facile per nessuno: non lo è per noi sacerdoti, non lo è per voi fedeli. In merito alle cose nuove di cui abbiamo parlato, mi è venuto in mente un aneddoto. Alla fine del 1800, ci fu un cambiamento d’epoca grandissimo legato alla rivoluzione industriale: la classe operaia aveva abbandonato completamente la Chiesa. Il papa di quel tempo, Leone XIII, nel 1891 scrisse allora l’enciclica Rerum Novarum, cercando di affrontare questo grande cambiamento. Di lì a poco nella Cattedrale di Notre Dame de Paris alcuni saerdoti e laici celebrarono una messa per la conversione del papa! Questa è storia. E ci fa comprendere la difficoltà di accettare i cambiamenti. Ma, anche se sappiamo perfettamente che abitare i cambiamenti è difficile, sappiamo pure di non essere soli: abbiamo con noi lo Spirito Santo che ci sostiene. Io credo che nessuno, in questo momento, abbia davanti a sé quale sarà la forma della Chiesa che sta nascendo. Però stiamo cercando di tracciare la strada, siamo in un cammino: abbiamo alcuni criteri, alcuni desideri, alcuni sogni e cercheremo di realizzarli così come lo Spirito cercherà di guidarci. Di questo io mi sento sicuro e quindi ciò che ci guida è l’affidamento a Dio, un affidamento che dobbiamo fare insieme, perché la fede è questa: non dire a Dio quello che Lui deve fare, bensì mettersi insieme per capire quello che dobbiamo fare e che non abbiamo ancora compreso. Noi, tutti insieme. A me pare che questa sia una bella sfida, perché quando viaggiamo così, siamo sulle ali di Dio.”