DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto
Il popolo di Israele si allontana da Dio, quel Dio che, poco prima, lo aveva liberato dall’Egitto, si costruisce un vitello d’oro e lo adora, invocandolo come proprio liberatore e salvatore. Il Signore, per intercessione di Mosè, mette da parte ogni ira e desiderio di vendetta e, leggiamo nella prima lettura, «si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo».
Paolo, lo leggiamo nella seconda lettura, era un bestemmiatore, un persecutore dei cristiani, un violento ma, lo dice lui stesso, «mi è stata usata misericordia» e la grazia del Signore ha sovrabbondato su di lui.
Nel Vangelo c’è un pastore che lascia novantanove sue pecore nel deserto e «va in cerca dell’unica perduta finché non la trova».
Una donna trascura tutte le sue monete in favore dell’unica perduta, «accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova». Ed entrambi, pastore e donna, fanno una gran festa con amici e amiche per condividere la gioia di quanto accaduto.
Ancora…un padre, su richiesta del minore, divide tra i suoi due figli il proprio patrimonio. Lascia che il figlio minore abbandoni la casa, sperperi in giro tutte le sue sostanze e, per concludere, quando il ragazzo, ormai senza soldi e senza dignità, torna a casa, organizza la migliore delle serate per festeggiare il ritrovamento del figlio.
Festa per chi è perduto, festa per chi ha peccato…e le novantanove pecore che sono rimaste buone buone sempre dietro al pastore? E il figlio maggiore che non ha mai disobbedito ad alcun comando del padre ma per il quale non si è mai festeggiato nulla?
Facciamo un’enorme difficoltà ad accettare questa realtà: è possibile che Dio preferisca un ingiusto, un perduto, un ribelle rispetto a chi, nella vita si è sempre comportato bene, da bravo cristiano, da bravo fedele? E’ possibile che Dio abbia uno sguardo di predilezione e scelga per sé chi, come Paolo, fino a poco prima, lo ha bestemmiato e perseguitato? E’ possibile che Dio non si stanchi di proteggere, accompagnare, custodire un popolo, quello di Israele, che si è sempre ribellato alla sua Parola e si è dimostrato spesso infedele?
Sì, Dio è sempre alla ricerca di chi si è smarrito, del più fragile, non è un Dio dei giusti, dei puri, degli impeccabili, che ama solo quelli che gli rispondono coerentemente.
E’ un Dio che, come ce lo presenta tutta la liturgia di questa domenica, è amore, misericordia, magnanimità. Un Dio che, come il padre della parabola evangelica, è sempre alla finestra per essere pronto a scorgerci non appena torniamo ad imboccare la via di casa: pentiti o non pentiti, ha compassione, ci corre incontro si getta al nostro collo ma non per farci del male ma per abbracciarci e baciarci. E, non pago, tira fuori i vestiti più belli, l’anello più bello, i sandali più belli, prende il vitello grasso, lo fa uccidere affinché si imbandiscano il banchetto e la cena più bella mai visti prima.
E questo, tutto questo, non una sola volta ma tutte le volte che torniamo a guardare a Lui e cerchiamo di nuovo le sue braccia.
Amore, misericordia, magnanimità…per sempre!
Accettare l’amore è forse, per noi, più difficile che darlo. Il Padre non chiede rimorsi o penitenze, a lui non interessa giudicare e neppure assolvere, ma aprire un futuro di vita. Non è il rimorso, la penitenza, la paura che libera dal male, non il pareggio tra dare e avere, ma un “di più” di vita, la fiducia, l’abbraccio e la festa di un Padre più grande del nostro cuore.