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Sorelle Clarisse: L’amministratore disonesto

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Decisamente particolare il brano evangelico di questa domenica. Non vi nascondo che l’ho trovato e continuo sempre a trovarlo un po’ ostico, difficile da comprendere ed accettare fino in fondo.
Perché?
Perché Gesù si rivolge ai suoi discepoli con una parabola che racconta di un amministratore disonesto, dalla condotta sconsiderata ed avida, un uomo accusato di aver sperperato tutti gli averi del suo padrone ma che, alla fine, è lodato proprio dal suo padrone per la capacità di reagire prontamente alla grave situazione in cui si è cacciato. Reazione, a sua volta, poco chiara e limpida.
Che Gesù si sia messo a giustificare la disonestà? Proprio no…allora qual è il motivo di questa lode?
Innanzitutto quest’uomo tira fuori la capacità di guardarsi con onestà; ha la coscienza sporca e sa perfettamente che quello di cui il padrone è venuto a conoscenza è vero, quindi tira le somme per verificare i debiti e i crediti di una vita intera. Ascoltiamo cosa dice tra sé: «Che cosa farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione?
Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno». Di qui la decisione di gesti e scelte che gli dischiudono un possibile futuro: «So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua». Ecco un altro motivo di lode! Invece di piangersi addosso, prende in mano la propria vita e va avanti.
«Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”.

Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”».
Ancora un motivo di lode: l’amministratore esce dalla sua solitudine, scopre che la salvezza è opera di qualcun altro e non ci si salva con le proprie mani, non investe più in denaro ma in relazioni, rovescia la direzione del denaro che non va più verso l’accumulo ma verso il dono, non genera più esclusione ma comunione e amicizia. Rimettendo i debiti agli altri, immette nella vita di queste persone delle dinamiche di bene che sono l’unica realtà che perdura nell’eternità.
Quello che non fanno le classi abbienti del regno di Samaria che, come scrive il profeta Amos nella prima lettura, attraverso la frode e l’inganno opprimono e riducono al nulla l’uomo pur di guadagnare ed arricchirsi.
Forse ora riusciamo meglio a comprendere il significato di questa parabola: il padrone loda l’amministratore per la sua accortezza, la sua scaltrezza e l’estrema decisione di quest’uomo nel leggere l’oggi e nel saper agire di conseguenza per il futuro.
La Parola non ci parla di un padrone che, dopo questa lode, torna indietro nella sua decisione di licenziare quell’uomo. Infatti Gesù, lo abbiamo già sottolineato, non vuole certo giustificare un comportamento scorretto ma vuole sollecitarci all’apertura, al dinamismo, alla ricerca nella nostra vita. E’ come se ci stesse domandando: “in cosa stai investendo?”, “stai vivendo la tua vita o c’è qualcuno o qualcosa che sta vivendo al tuo posto?”.
Affidiamoci al Signore che ci chiama a pensare, inventare, decidere passi concreti che non abbiamo il fiato corto ma l’orizzonte ultimo, quello definitivo, l’orizzonte e la metà che è Cristo, il suo Vangelo, la sua proposta e promessa di una eternità di vita.

Redazione: