Massimiliano Padula
Il 19 settembre del 2012 moriva all’età di 67 a Roma don Sergio Lanza. Nato a Morbegno, nella bassa Valtellina in provincia di Sondrio, Lanza fu un intellettuale poliedrico in grado di rompere i perimetri chiusi di certa teologia (era un biblista di formazione) e di favorire così un dialogo fecondo con le scienze umane e sociali. Come docente e poi preside dell’Istituto Pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense sistematizzò un pensiero originale circa la disciplina teologico-pratica. All’impegno scientifico affiancò quello pastorale e di formazione culturale quando, nel 2008, fu nominato assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore dalla Conferenza episcopale italiana. A dieci anni dalla sua scomparsa, vogliamo ricordarlo insieme a don Paolo Asolan, tra coloro che ne hanno raccolto l’eredità intellettuale.
Don Asolan, oggi lei è preside dell’Istituto Pastorale dell’Università del Laterano oltre a essere docente della disciplina insegnata da Lanza. Quanto e perché l’esempio e il metodo di don Sergio guidano il suo servizio accademico?
La correlazione tra Lanza e me è senz’altro inadeguata, pur se il riferimento è necessario: credo il Professore coltivasse come questione ultima alla quale rispondere quella di rendere efficace la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo, constatando come tanta pastorale non producesse né fede né inculturazione del Vangelo, né trasformazione del mondo.
Il suo metodo – che chiamò del “discernimento evangelico” – riconosce e affronta, tenendole unite, tanto la verità irriducibile del Vangelo che la consistenza e la complessità del dato umano storicamente interpellato da quella verità, che salva attraverso fatti e parole intimamente connessi tra loro.
Direi che, posta così, la sua passione pastorale e il metodo che mise a punto restano un riferimento che continua a durare e a dare frutti nel tempo.
Lanza era convinto che, nell’attuale tempo post moderno e iper complesso, la mappa della pastorale ordinaria si debba arricchire di nuovi territori. Da qui, la sua attenzione alla dimensione familiare, all’etica economica, ai processi culturali e comunicativi. Quale era l’idea alla base della sua visione del rapporto Chiesa-mondo?
Senza entrare troppo in tecnicismi, possiamo dire che un suo punto fermo sia stato quello di non separare tra loro l’economia della creazione e quella della redenzione, riconoscendo che la salvezza inizia fin dalla creazione del mondo in Cristo.
Esplicitare questo dato di fede comporta allargare lo spazio dell’azione dei battezzati singoli e della Chiesa a tutti quegli ambiti che lei ha ricordato, intendendoli quasi come una necessità interna alla missione.
Circa lo stile di questo rapporto, Lanza parlava di una “dimensione diaconica”, di servizio, quale criterio secondo il quale strutturare quel rapporto. Il che esclude altre diverse dimensioni, evidentemente.
Leggendo i numerosi scritti di Lanza emergono delle prospettive fondanti che – ci sembra – siano vicine al magistero di Francesco. Ci riferiamo a concetti come discernimento, sinodalità, nuova evangelizzazione…
L’enfasi che il Papa pone sull’evangelizzazione come compito primo e strutturante della vita della Chiesa è la stessa messa a fuoco da Lanza, il quale insegnava che l’evangelizzazione non consiste nell’aggiunta di qualche attività di primo annuncio alla pastorale che si è sempre fatta, ma nel ripensamento globale, complessivo, delle priorità, degli strumenti, dei soggetti dell’azione ecclesiale. In questo senso ci ritroviamo in pieno nell’Evangelii Gaudium. Ma non trascurerei anche il nodo del rapporto fede-cultura (piuttosto wojtyliano e ratzingeriano) tra le matrici del suo pensiero e del suo servizio pastorale quale prete teologo.