“La recente pandemia ci ha fatto scoprire quanto i marittimi abbiano pagato le conseguenze dell’isolamento e della distanza delle loro famiglie. Ci prendiamo l’impegno di mostrare vicinanza e condivisione”: don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro e dell’apostolato del mare della Cei, è stato tra i promotori del convegno dal titolo “Un mare di storia”, svoltosi a Genova lo scorso fine settimana. Un’occasione anche per ricordare che da 90 anni “la Chiesa in Italia si fa vicina ai marittimi, ai pescatori, alle loro famiglie e a quanti attraversano i numerosi porti del Paese”. Dal convegno sono emerse analisi, spesso preoccupate, della situazione e alcune proposte a carattere sociale, lavorativo e pastorale. Ne parliamo con don Bignami.
Novant’anni di apostolato del mare, di vicinanza della Chiesa a chi vive delle risorse dei nostri mari. Com’è cambiata in questi decenni la vita di chi dedica la propria esistenza lavorativa sulle navi o nei porti italiani?
Le trasformazioni della vita dei marittimi sono state molto importanti in questi decenni. Ad esempio, le operazioni di carico e scarico delle merci sono oggi realizzate tramite macchinari, mentre in passato erano affidate a bassa manovalanza. Ci sono anche elementi di continuità che la pandemia ha rivelato ancora molto presenti:forme di sfruttamento, di insicurezza lavorativa che destano preoccupazione.Il lavoro in mare ha elementi di unicità che le stesse legislazioni nazionali faticano a recepire.
Quali urgenze si affacciano nella stagione segnata dalla pandemia, dalla crisi economica ed energetica, dai cambiamenti climatici e ambientali, dall’inquinamento che toccano anche le acque, i mari, gli oceani?
Una direzione ci proviene dall’enciclica Laudato si’. Se fino a pochi anni fa l’attenzione dell’Apostolato del mare era rivolta esclusivamente ai temi spirituali e sociali, ora lo sguardo si amplia. Ai pericoli e alle solitudini di chi lavora si affiancano i problemi dell’ambiente marino, che hanno inevitabilmente ripercussioni sulla gente di mare. L’inquinamento, i cambiamenti climatici, la globalizzazione dei mercati, l’impatto antropico stanno cambiando gli ecosistemi. I pescatori, ad esempio, sono tra le categorie più esposte e a rischio chiusura.
Lei, nelle conclusioni del convegno di Genova, ha affermato che “non mancano nei porti e sulle navi persone precarie, sottopagate, costrette a ritmi di lavoro disumani. Il commercio mondiale sta in piedi grazie al lavoro nascosto di marittimi che vivono esistenze impossibili”. Cosa può fare la Chiesa in questo senso?
Le ingiustizie legate al lavoro dei marittimi devono poter trovare nella comunità cristiana una disponibilità all’ascolto. Per questo l’Associazione di volontariato Stella Maris è autorizzata a svolgere il servizio di welfare marittimo nei porti italiani. È possibile rafforzare il volontariato sociale e qualificarlo dal punto di vista umano e spirituale. Inoltre,la Chiesa può formare le coscienze dei fedeli perché si aprano alla sensibilità verso il lavoro dei marittimi,che nel Convegno qualcuno ha definito “invisibili”. Basti pensare che il 90% delle merci di cui disponiamo arrivano in casa nostra via mare e sono state imbarcate per almeno 2 o 3 settimane. Il commercio mondiale dipende dal lavoro marittimo, eppure la gente di mare quasi non esiste nella vita sociale. Talvolta è stato persino vietato loro il diritto di sbarcare nei porti. È assurdo!
Il Papa ha più volte dialogato con alcune marinerie italiane. Si è persino mostrato curioso rispetto all’attività della “pesca di plastica”, finalizzata alla pulizia del mare. Qual è il messaggio di Bergoglio ai pescatori?
Papa Francesco in questi anni ha dialogato con alcune marinerie italiane per sostenerle affinché Laudato si’ diventi occasione per un impegno condiviso. In particolare, ricordo l’udienza con i pescatori di San Benedetto del Tronto il 18 gennaio 2020: non solo li ha incoraggiati nel loro lavoro, ma si è mostrato molto curioso circa l’attività della “pesca di plastica”, finalizzata alla pulizia del mare. Non si tratta di una deriva ecologista, ma della consapevolezza che la qualità del mare ha conseguenze sulla formazione delle coscienze, per favorire una mentalità di cura, e sulla qualità del pescato che arriva sulla tavola delle famiglie.
Come Apostolato del mare italiano quali idee e progetti avete in mente?
Torniamo da Genova nelle nostre diocesi consapevoli che possiamo rafforzare e dare entusiasmo ad alcuni impegni comuni, per dare vita a “un mare di apostolato” generoso.Vorremmo incoraggiare la nascita dell’Apostolato del mare nelle diocesi dove il servizio è ancora assente.Inoltre, vorremmo far diventare la Giornata mondiale dei marittimi (25 giugno), la Giornata del mare (seconda domenica di luglio) e la Giornata della pesca (21 novembre) momenti significativi di attenzione pastorale diocesana al mondo dei marittimi. Infine, auspichiamo che la Chiesa continui a rimanere sentinella vigile nei porti, capace di sostenere le difficoltà dei marittimi. È fondamentale la partecipazione ai Comitati di welfare territoriali e il dialogo quotidiano con le persone.