Alessandro Di Medio
Il Santo Padre continua il suo percorso sul discernimento, e dopo averci indicato gli “ingredienti” necessari per quest’arte tanto faticosa e necessaria, durante la catechesi dell’ultima udienza generale ce ne ha mostrato lo sfondo, quella che sant’Ignazio chiama santa indifferenza, cioè il non preferire nulla aprioristicamente (salute piuttosto che malattia, ricchezza piuttosto che povertà, onore piuttosto che disonore, ecc.), ma accogliere ogni cosa, specialmente gli imprevisti e quelle cose che non sono in nostro controllo, come possibili espressioni di un bene, anzi, di un meglio per noi. Siamo chiamati ad ascoltare la vita, e poi ad ascoltare il nostro cuore, osservando come risuona rispetto alla vita: nel punto di incontro tra ciò che nella vita avviene, e ciò che il mio cuore risponde, lì posso riconoscere la gioia autentica, distinguendola dalla gioia solo apparente che è appannaggio della tentazione, e sarà la vera consolazione, quale linguaggio di Dio per me, a indicarmi il prossimo passo da fare nel mio cammino esistenziale.
Se imparo a stare nell’ascolto (degli eventi, del mio cuore, degli altri), imparerò a stare nel discernimento: dall’ascolto al fiuto.
L’opposto di questo atteggiamento, che non va più dalla vita al cuore, ma dalla testa alla vita, è quella che anche il filosofo esistenzialista Heidegger definiva la violenza della ragione, che vuole applicare all’evento dell’essere i suoi schemi onde poterlo dominare, definire, controllare… con il risultato, che tutti noi amaramente sperimentiamo, della perenne frustrazione della nostra idealità rispetto agli accadimenti del reale – e noi poi ce la prendiamo per giunta con il reale, con gli altri, con la vita, perché non balla al ritmo delle nostre pretese!
Ma è chiaro: se nella mia mente ho un progetto, e me ne innamoro sfrondandolo di ogni realistico limite o discutibilità, qualunque ostacolo o diverso effetto diventa un fallimento; quando invece mi metto in un atteggiamento sapienziale, cioè accogliente e ascoltante, ogni cosa mi parla, anche i vuoti, i silenzi, gli incidenti e i “no” della vita, che diventato “sì” su un altro piano, magari per me imprevisto.
Come già dicemmo scrivendo dei “libri non trovati” da sant’Ignazio nella sua convalescenza, libri mancanti che si sono rivelati una grazia per il cambiamento della Chiesa e della società civile nei secoli successivi, i “no” della vita in effetti non sono mai dei no a me, ma alla mia idea (spesso fuori mira) di me, per condurmi a un sì: “Il filo conduttore più bello è dato dalle cose inattese”, ha concluso molto felicemente il Papa a riguardo, due settimane fa.
L’arte del discernimento insegna a “surfare” sugli accadimenti più vari, sugli alti e bassi della vita, senza farsene mai travolgere, perché niente va assolutizzato, ma tutto accolto e orientato in relazione all’unico fine degno dell’uomo, la sua auto-comprensione come figlio di Dio e, da qui, alla sua missione di amore nel mondo.