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Adozioni internazionali a picco

Giovanna Pasqualin Traversa

Adozioni internazionali a picco. Dai 4.310 bambini adottati da coppie italiane nel 2010 ai 1.205 del 2019, fino ai 680 del 2021. Nei primi sei mesi del 2022, al 30 giugno sono 273 le procedure realizzate. “Un numero impressionante in negativo se raffrontato con il numero delle coppie in carico agli Enti autorizzati che sono 2.675”, commenta al Sir Cinzia Bernicchi, esperta di adozione internazionale e consulente dell’associazione Aibi – Amici dei bambini.

Dottoressa, un trend in caduta libera, e non da ieri. Che sta succedendo?

Il problema principale è lo stop di Paesi importanti nei rapporti con l’Italia.

Primo fra tutti la Repubblica popolare cinese che dall’inizio della pandemia non ha più fatto concludere un’adozione. Molti minori venivano da lì e diverse coppie sono ancora in attesa. Anche Federazione russa e Ucraina sono bacini significativi ma la guerra ha complicato tutto. L’Ucraina ha emesso qualche sentenza di adozione utilizzando piattaforme a distanza e un interprete; la Federazione russa continua a lavorare, ma con il contagocce, anche perché con il blocco dei voli diretti per Mosca le coppie devono raggiungere il Paese facendo scalo a Dubai con un notevole aumento dei costi di trasferimento. Che si aggiungono agli altri della procedura. Ungheria, Bulgaria, Moldova continuano a far venire bambini mentre la Bielorussia – ma lì si tratta di un problema politico – non ha più fatto arrivare nessuno dei minori che godevano dell’ospitalità temporanea estiva e/o invernale. Stiamo aspettando che riparta un Paese importante come la Cambogia, ferma da moltissimi anni, ma i tempi sono sempre troppo lunghi per i bambini che intanto crescono.

Appunto, oltre ai costi a scoraggiare le coppie sono anche i tempi lunghi…

Si tratta di percorsi complessi che possono durare anche 4 o 5 anni.

Qual è l’età media dei bambini?
Oggi si aggira intorno agli otto anni; oltre il 70% sono minori special needs che non tutte le coppie si sentono di accogliere.

Che cosa si intende per special needs?
La definizione del Permanent Bureau de L’Aja prevede tre categorie. La prima include bambini al di sopra dei sette anni di età – e se l’età media è intorno agli otto anni lo sono tutti –; la seconda si riferisce a gruppi di fratelli a partire da tre; l’ultima comprende minori con problemi di salute, disabilità fisiche e/o mentali, ed è la categoria più numerosa.

Le famiglie italiane che risposte danno di fronte a queste situazioni?
La famiglia italiana è molto accogliente rispetto a quella di altri Paesi. Noi accogliamo un gran numero di special needs. Naturalmente questo richiede un grande impegno nell’accompagnare le famiglie che adottano bimbi con problemi sanitari, anche perché un conto è essere informati del problema del bambino a distanza, sulla carta; diverso è quando si incontrano. Nella maggior parte dei casi, al momento della conoscenza le paure scompaiono.

Nel 2019 sono nati 14mila bambini in Italia con la procreazione medicalmente assistita. Questa procedura può essere una delle cause del crollo delle adozioni?
Ha certamente influenzato il trend. Lo vediamo anche noi operatori leggendo le relazioni delle coppie che arrivano da noi per conferirci l’incarico per portare a termine la procedura di adozione.La maggior parte di loro ha tentato i percorsi di fecondazione assistita come prima via per avere un figlio. In caso di insuccesso si sono rivolti all’adozione.

Che tipo di accompagnamento e sostegno offrite durante l’iter di adozione?
Il percorso è molto complesso; prevediamo momenti formativi e informativi prima di accogliere l’incarico della coppia che deve rendersi conto bene di chi siamo e di come lavoriamo.Anche noi dobbiamo capire se questa coppia è veramente una risorsa per i bambini che ci vengono segnalati.Oltre alla fase di informazione e formazione preliminare al conferimento dell’incarico, c’è una parte di accompagnamento durante il tempo dell’attesa che può riguardare approfondimenti tematici specifici, come ad esempio bambini più grandi, gruppi di fratelli, situazioni sanitarie complesse, ma anche abuso e maltrattamento, particolarmente diffuso in Sudamerica in qualche paese dell’est Europa. Su richiesta della coppia, nel periodo successivo all’ingresso in Italia con il bambino, è previsto un percorso di accompagnamento. In ogni caso siamo sempre a disposizione per consulenze individuali al bisogno.

La legge di riferimento per l’adozione è la 184/83; per le adozioni internazionali si fa riferimento alla 476/98, legge di ratifica della Convenzione de L’Aja. Dopo più di vent’anni è ancora valida o andrebbe aggiornata?
Da noi la 476/98 è entrata in vigore nel 2000, ma in più di 20 anni sono cambiati bambini e famiglie; qualche ritocco sarebbe necessario, è una legge datata.

Le due prime modifiche necessarie che le vengono in mente?
Bisognerebbe rivedere il significato di idoneità, se deve essere di tipo giudiziario come è attualmente, o se è preferibile immaginare un’idoneità di tipo amministrativo in cui i servizi si mettano al fianco delle famiglie e le seguano in un altro modo. Ma occorre anche verificare i rapporti tra i soggetti delle azioni inerenti le adozioni internazionali. Nel 2000 si parlava delle quattro gambe del tavolo: la Commissione adozioni internazionali (Cai), i Tribunali per i minorenni, i Servizi sociosanitari e gli Enti autorizzati. Adesso nella Cai sono presenti anche commissari delle associazioni familiari. Altri soggetti importanti la scuola, molto sollecitata negli anni dalle istituzioni, e l’Associazione italiana di pediatria che si è messa a disposizione.

Come vede il futuro delle adozioni internazionali?
Non torneremo ai numeri del passato perché è cambiato il mondo. Nei Paesi c’è meno disponibilità di bambini al di sotto di una certa fascia d’età.

I minori adottabili sono molto numerosi ma è complesso trovare una famiglia disposta ad accogliere un quattordicenne.

Non vogliamo far morire l’adozione internazionale; ci stiamo impegnando tutti per la sua ripresa perché ogni bambino ha diritto ad una famiglia che lo ami.

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