Di Sergio Perugini
Tra realismo ed evasione. Oscillano su questo binario le proposte del primo weekend di ottobre al cinema e in Tv. Anzitutto in sala il giallo a tinte comiche, dall’iconica atmosfera inglese, “Omicidio nel West End” di Tom George, con un cast hollywoodiano di richiamo come Sam Rockwell e Saoirse Ronan. Un omaggio al mondo del teatro britannico, all’offerta culturale del West End, così come alla letteratura “Murder mystery” di Agatha Christie. Da Venezia79 arriva al cinema “Siccità” di Paolo Virzì, commedia nera a pennellate drammatiche che ruota su un cast corale. Infine, su Sky e Now la miniserie “This England” diretta e co-sceneggiata da Michael Winterbottom, con Kenneth Branagh nei panni dell’ex premier britannico Boris Johnson. Racconto drammatico del deflagrare della pandemia da Covid-19 nel Regno Unito, unito a un’acuta e graffiante analisi dei provvedimenti del governo Johnson.Il punto Cnvf-Sir.
“Omicidio nel West End” (al cinema)
Un film appetitoso, per gli amanti degli intrighi sofisticati in stile Agatha Christie, narrati con brio. Parliamo di “Omicidio nel West End” (“See How They Run”), la prima regia cinematografica di Tom George – apprezzato per la serie comica “This Country”, incoronata ai Bafta – su sceneggiatura di Mark Chappell (“Appunti di un giovane medico”, “Flaked”).
La storia. Londra anni ’50, nella centrale zona del West End, dove risiede il meglio dell’offerta del teatro inglese, va in scena il giallo “Trappola per topi” di Agatha Christie. Quando il regista hollywoodiano Leo Kopernick (Adrien Brody), incaricato dell’adattamento del soggetto per il grande schermo, viene trovato morto nei camerini del teatro, si apre la caccia all’assassino. L’intero cast di “Trappola per topi” finisce nella lista dei sospetti. A guidare le indagini sono l’ispettore Stoppard (Sam Rockwell), veterano a Scotland Yard con problemi però di alcolismo, e la sgomitante recluta Stalker (Saoirse Ronan).
È quasi un’istituzione nell’ambiente londinese “The Mousetrap”, “Trappola per topi”, testo teatrale dalla regina del giallo, Agatha Christie, un intrigo poliziesco con sfumature da commedia che prende le mosse da un radio-drama.Lo spettacolo è stato messo in scena per ben 68 anni consecutivi, dall’ottobre 1952, registrando un’interruzione solo nel 2020 per il Covid. L’adattamento cinematografico avviene sotto la bandiera a stelle e strisce della Walt Disney Company, attraverso la sussidiaria Searchlight, garanzia di mezzi e qualità. La resa è infatti suggestiva e accurata, tanto per costumi e scenografia, con splendide ricostruzioni di ambientazioni londinesi anni ’50, quanto per il coinvolgimento di attori di primo piano come i premi Oscar Sam Rockwell (“Tre manifesti a Ebbing, Missouri”) e Adrien Brody (“Il Pianista”), la più volte candidata all’Oscar Saoirse Ronan (“Piccole donne”, “Brooklyn”) e la sempre brava Ruth Wilson ( “His Dark Materials”, “The Affair”).
La regia di Tom George marcia spedita, alternando citazioni teatrali, letterarie e cinematografiche, regalando pertanto un mix godibile e raffinato, segnato da brillante umorismo di matrice nera.Al di là di qualche lungaggine o sottolineatura di troppo, a ben vedere le soluzioni narrative messe in campo risultano fin troppo riconducibili all’inconfondibile stile di Wes Anderson, ai suoi spumeggianti “Moonrise Kingdom”, “Grand Budapest Hotel” e “The French Dispatch”. L’esordio di George è comunque valido, contando anche sul fatto che il tempo lo aiuterà di certo a raffinare la sua marca stilistico-narrativa. Nell’insieme “Omicidio nel West End” è un’opera che affascina e coinvolge a più livelli, sia per l’intrigo giallo che per la ricercatezza delle citazioni, candidandosi pertanto a essere un buon titolo di frizzante e dotta evasione. Consigliabile, brillante, per dibattiti.
“Siccità” (al cinema)
Molti addetti ai lavori, a Venezia79, si sono chiesti perché Paolo Virzì non fosse in Concorso con “Siccità”, riuscita commedia nera di stampo sociale.L’autore livornese mette infatti a segno un’opera compatta e di grande intensità, gestendo con arguzia e raffinatezza le microstorie che popolano tale film corale.Come protagonisti Virzì ha chiamato a raccolta i suoi attori di riferimento, conosciuti in trent’anni di carriera: Claudia Pandolfi, Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci, Max Tortora, Elena Lietti, Tommaso Ragno, Vinicio Marchioni, Emanuela Fanelli e Sara Serraiocco.
La storia. Roma, oggi. Da tempo non piove e tutto è secco, arido, compreso il fiume Tevere. In più la Capitale è messa sotto stress da un’infezione batterica che sta portando gli ospedali al collasso. In questo scenario tragico e quasi apocalittico si intrecciano le vite di donne e uomini, adulti e adolescenti, che provano ad aggirare gli ostacoli di un clima impazzito e al contempo ad affrontare gli irrisolti personali, a cominciare dalle relazioni affettive…
L’idea è nata dal confronto tra il regista livornese e Paolo Giordano, sceneggiata poi dai due insieme a Francesca Archibugi e Francesco Piccolo. “Siccità” rivela un ottimo Paolo Virzì, quello ricollegabile a titoli di grande efficacia, dal taglio dolce e feroce, come “Ferie d’agosto”, “Ovosodo”, “Caterina va in città” e “La pazza gioia”.La scommessa di “Siccità” (in termini di plot, soggetto) era indubbiamente audace, ma alla fine la realtà sembra aver superato la finzione, dinanzi a un’estate 2022 fuori controllo a livello climatico.Nello specifico, nel racconto si dipana un’umanità stanca e tragica, in cerca di conforto. “Una galleria di personaggi – racconta Virzì – ugualmente innocenti e colpevoli, un’umanità spaventata, affannata, afflitta dall’aridità delle relazioni, malata di vanità, mitomania, rabbia, che attraversa una città dal passato glorioso come Roma, che si sta sgretolando e ‘muore di sete e di sonno’”.
Virzì riesce dunque nell’impresa, forte di un copione misurato e compatto, senza sbavature, corroborato da tanti bravi interpreti in parte, tutti generosi nel condividere sfumature intense, sul filo tra tenerezza e disperazione.“Siccità” è un film che marcia serrato e coinvolgente, persino toccante per i temi che sfiora con grazia tragica, regalando un campionario umano sfibrato ma desideroso in un certo senso di riconciliazione. Consigliabile, problematico, per dibattiti.
“This England” (dal 30 settembre su Sky e Now)
Boris Johnson e il Covid-19. Sono i due protagonisti dell’intensa miniserie “This England” firmata Michael Winterbottom, con protagonista uno sbalorditivo Kenneth Branagh nei panni dell’ex premier britannico. A produrre è Sky Studios, Fremantle e Passenger, in onda sui canali Sky e la piattaforma Now dal 30 settembre.
La serie mette in parallelo lo sfogare della pandemia nei primi mesi del 2020 con le scelte compiute dal governo inglese a guida Boris Johnson (in carica dal luglio 2019 al settembre 2022).Il racconto alterna quindi il serpeggiare del virus, la crescente vulnerabilità di ospedali, case di riposo per anziani e famiglie, con le riunioni di gabinetto al n. 10 di Downing Street, compresi i raccordi familiari a corrente alternata tra Johnson e la moglie Carrie Symonds. Quadri visivi che amplificano il cortocircuito narrativo, il dover assistere contestualmente alle sofferenze della comunità e ai vizi-virtù di casa Johnson.
La mimesi fisica-interpretativa di Kenneth Branagh è acuta, meticolosa, abile nel tenersi lontana da svolte macchiettistiche;rendendo tutta la complessità del leader conservatore, un uomo di certo assai intelligente e colto – nella serie cita continuamente i classici latini come pure Shakespeare – ma anche capace di incappare in vertigini egocentriche dinanzi a un Paese in affanno.Più che il ritratto asciutto, a tratti tagliente, del leader britannico, la miniserie dà conto in verità della grande tragedia umana che ha piegato il Regno Unito,tutta la brutalità del Covid-19 che ha mietuto migliaia di vite, giovani e adulte. Tra spaccato sociali e processo di elaborazione di un lutto collettivo, la serie “This England” risulta consigliabile, problematica, per dibattiti. Per un pubblico adulto.