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Sorelle Clarisse: Guariti o salvati?

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza.

Dieci lebbrosi vanno incontro a Gesù. Dei dieci, uno è straniero, nemico, samaritano. Ma la malattia e il dolore accomunano ogni uomo, senza distinzioni di religione, etnia, razza. Urlano tutti il loro dolore, il loro abbandono, il loro lento e inesorabile morire: «…si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”».
Gesù chiede loro di andare a presentarsi dai sacerdoti. Una richiesta che, da parte sua, indica il profondo rispetto per la legge di Israele: solo il sacerdote, infatti, poteva attestare la guarigione e stabilire il reinserimento di un lebbroso.
Tutti, lungo il percorso verso il tempio, vengono guariti; uno solo, il samaritano, torna indietro a ringraziare il Signore.
Per nove di questi uomini la guarigione segna la fine di una brutta storia da dimenticare, segna il ritorno alla normalità. Hanno chiesto, hanno usato Dio per il loro progetto di guarigione, ora il discorso è chiuso. Com’è la loro fede? E’ una fede dominata dalla legge, che si muove dentro l’arco, piuttosto rigido, delle cose prescritte: era prescritto presentarsi ai sacerdoti, ci vanno…una norma fredda che spegne il cuore.
Per il samaritano, invece, c’è una porta che si apre: la guarigione non è la fine di una storia, è l’inizio di una esperienza nuova. Egli passa da lebbroso a guarito e poi da guarito a salvato. Ha intuito che il segreto non sta nella guarigione ma nel guaritore. Non fa calcoli ma si fa condurre dal cuore, fa le cose che non sono scritte da nessuna parte, per strada «lodando Dio a gran voce».
E’ l’uomo che esplode con la sua dolcezza, con la sua passione. E’ l’uomo salvo dentro.
Infatti, ciò che conta nel tornare indietro di quest’uomo non è l’atto di ringraziare, quasi che Dio fosse in cerca del nostro grazie, bisognoso di essere contraccambiato. E’ salvo non perché paga il pedaggio della gratitudine ma perché sperimenta addosso un Dio che fa fiorire la vita in tutte le sue forme, un Dio la cui gloria non sono i riti ma l’uomo vivente.
La stessa esperienza che vive Naaman il Siro, anche lui guarito dalla lebbra per mezzo del profeta Eliseo, lo leggiamo nella prima lettura tratta dal secondo Libro dei Re. Naaman, il grande generale assiro che ha a che fare con gli eserciti, lui abituato ad invadere le terre, ora chiede di caricare su due muli un po’ della terra di quel luogo ove è avvenuto il miracolo così da poter, anche da lontano, anche dalla propria patria, terra pagana, continuare a ringraziare e lodare il Dio di Israele.
Allora anche noi, insieme con il samaritano e con Naaman, ritorniamo sempre dal Signore per potergli dire con fiducia: “tu sei il Signore della mia vita, il mio vero Dio. Davanti a te metto la mia vita. Non posso darti nulla in cambio, posso solo lasciarmi guarire da te”.
Questa è la fede autentica, quel granellino di fede che, dicevamo anche domenica scorsa, può sradicare gelsi e smuovere le montagne…del nostro cuore, prima di tutto, e nella nostra vita.

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