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Siria. Padre Jallouf (Idlib): “L’esito della guerra nelle mani di Russia e Turchia”

Daniele Rocchi

“Da qui sono passati tutti i gruppi di ribelli e terroristi, Isis, al-Nusra oggi Hayat Tahrir al-Sham. Viviamo così dal 2011 quando ha avuto inizio la guerra”. A parlare al Sir è il francescano Hanna Jallouf, parroco di Knaye, uno dei tre villaggi cristiani della Valle dell’Oronte (gli altri due sono Yacoubieh e Gidaideh) distante solo 50 km. da Idlib, capoluogo dell’omonimo Governatorato, ultimo bastione nelle mani dei ribelli che combattono contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad.

Siria: la chiesa di Knayeh, (Idlib) senza croci (Foto H.J.)

Non pare sorpreso, il religioso, davanti alla notizia che l’esercito turco, nelle ultime ore, ha dispiegato mezzi e uomini nel nord-ovest della Siria, dopo un accordo raggiunto tra Ankara e la coalizione di milizie qaediste – guidate da Hay’at Tahrir ash Sham (Hts) – che nei giorni scorsi avevano conquistato gran parte del distretto di Afrin allontanando le fazioni più vicine alla Turchia, in particolare il Fronte di Liberazione Nazionale (Faylaq Al-Sham). Duri combattimenti che avevano provocato decine di morti tra due milizie che pure avevano combattuto insieme l’esercito regolare siriano. L’area è interessata da più di due anni da una tregua russo-turca per la spartizione del nord-ovest della Siria in due zone di influenza: una russo-governativa siriana a sud e una turca più a nord.

“Non è una sofferenza nuova”. “Non è una sofferenza nuova” dice padre Hanna che, con il confratello, padre Luai Bsharat, tengono unita la piccola comunità cristiana locale – poco più di 1.100 ‘anime’, tra latini, armeno-ortodossi e greco-ortodossi – intorno ai conventi di san Giuseppe e di Nostra Signora di Fatima. I due, infatti, sono gli unici religiosi rimasti nella zona, perché ricorda il frate, “quando è scoppiata la guerra tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono andati via o fuggiti. Molte chiese e luoghi di culto armeni e greco ortodossi sono stati distrutti o bruciati. Tra questi il nostro convento di Ghassanie”. Padre Hanna nel 2014 fu anche rapito dai qaedisti, insieme a 16 parrocchiani e rilasciato dopo qualche giorno. Ma ora non serve rivangare il passato, perché, rimarca, “la guerra e le sanzioni hanno prodotto, non solo morti e distruzione, ma anche tantissima povertà. I bisogni di oggi sono impellenti, manca praticamente tutto, acqua corrente, elettricità, medicine, i prezzi sono altissimi, ma dobbiamo continuare a vivere”. “La popolazione tira avanti come può – racconta il frate – si cerca di risparmiare sui costi dell’energia. Un barile di 200 litri di gasolio necessario a mandare avanti un generatore elettrico arriva anche a 250 dollari, un’enormità per le tasche dei siriani. Così molti cercano di recuperare le vecchie stufe a legna, più economiche, che permettono di cucinare e di scaldarsi al tempo stesso”.

“Un qualcosa del genere – aggiunge il religioso – dovrà farlo anche l’Europa ora che i costi di gas e di energia elettrica, saliti vertiginosamente a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, stanno facendo lievitare le bollette. Potrebbe essere l’occasione per riscoprire stili di vita più essenziali e sobri”.

“Noi viviamo in guerra dal 2011 e queste scelte sono diventate la nostra quotidianità” sottolinea padre Hanna che pure non manca di evidenziare un qualche segnale positivo “almeno per noi cristiani che viviamo qui nella valle dell’Oronte”. E spiega: “Gli scontri dei giorni scorsi tra fazioni ribelli hanno provocato l’allontanamento di jihadisti che avevano preso di mira noi cristiani, rubando nelle nostre case, requisendo i terreni, con vessazioni di ogni tipo. Ora la situazione appare più tranquilla e questo ha spinto, nell’ultimo periodo, sette famiglie cristiane a rientrare in uno dei nostri villaggi, Gidaideh. Erano sfollate ad Aleppo e Latakia. Abbiamo parlato con i capi del posto e siamo riusciti ad ottenere indietro le loro case e i loro terreni. I rapporti con l’autorità locale sono impostati al massimo rispetto e dialogando riusciamo ad avere qualche margine di movimento”.

Siria, la comunità cristiana di Knaye (foto Sir)

I problemi di sempre. Ciò non toglie che i problemi di sempre, per i cristiani, restano e sono quelli noti: celebrare i riti solo dentro la chiesa, i luoghi di culto non devono avere all’esterno croci, campane, statue e immagini sacre e anche padre Hanna e padre Luai non possono vestire il saio fuori dal convento. Se con le autorità qualcosa sembra muoversi lo stesso non si può dire per i rapporti con i musulmani locali: “in molti permane ancora una certa mentalità tipica dell’Isis che vede i cristiani come infedeli. C’è stato un imam – ricorda padre Hanna – che era solito, nei suoi sermoni in moschea, rivolgere parole di odio verso i cristiani fomentando i fedeli presenti. Abbiamo fatto le nostre rimostranze e l’autorità locale lo ha rimosso. Ora va meglio. Non c’è più chi ti sputa in faccia, chi ti calunnia e ti odia. La convivenza passa attraverso il rispetto e la conoscenza che costruiamo ogni giorno. È il senso della nostra presenza qui in questo lembo di terra”, dove la vita scorre in mezzo a tante difficoltà.

Foto Unhcr

Le sorti della guerra. “In parrocchia non manca l’impegno pastorale. Abbiamo anche organizzato dei corsi scolastici per i nostri 21 alunni, di tutte le fasce di età, che riuniamo nel convento e anche nelle case delle maestre. Non vanno nelle scuole locali. Così li prepariamo e, a fine corso, quando devono sostenere gli esami, li portiamo a Latakia e Hama, cercando di aggirare il blocco che sbarra le strade da e per Idlib. Chi vuole uscire clandestinamente è costretto a pagare. Ma i nostri alunni sono ben preparati e ottengono ottimi risultati. Vale la pena fare questi sacrifici. Abbiamo tre ragazze che oggi studiano all’università a Latakia”. Gli aiuti non mancano, arrivano dalla Custodia di Terra Santa e dalla ong “Ats Pro Terra Sancta” e permettono a padre Hanna di aiutare i suoi cristiani. “Stiamo dando un futuro a questi giovani e le loro famiglie sono felici” dice con orgoglio. Sul futuro della Siria, invece, padre Hanna è molto più realista:

“le sorti della guerra e il controllo del territorio non sono più nelle mani dei ribelli oppositori di Assad e dell’esercito siriano, ma di Turchia, Russia, Iran e Usa. Sono loro a decidere.

E poco importa se la gente muore di fame per la povertà, se non può uscire dalla regione, se non riesce a curarsi e a vivere con dignità. Ma noi continuiamo a sperare”.

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