Alessandro Di Medio
“Abbiamo visto che il discernimento ha un approccio narrativo: non si sofferma sull’azione puntuale, la inserisce in un contesto: da dove viene questo pensiero? Questo che sento adesso, da dove viene? Dove mi porta, questo che sto pensando adesso? Quando ho avuto modo di incontrarlo in precedenza? È una cosa nuova che mi viene adesso, o altre volte l’ho trovata? Perché è più insistente di altri? Cosa mi vuole dire la vita con questo?”.
Il Papa continua ad esaminare gli elementi del discernimento, e la scorsa settimana ce ne ha mostrato la natura “narrativa”, che potremmo anche dire dinamica, perché inerisce alla vita che non è una foto, è un film: è un corso di situazioni, non un singolo istante cristallizzato (e giudicabile isolatamente).
Il discernimento necessita la costanza e l’umiltà di seguire la vita nel suo svolgersi, cogliendone i processi. Tante volte le persone vengono in direzione spirituale vittime di un equivoco di fondo, ovvero portando gli esiti, i fatti finali, le conclusioni, e aspettandosi approvazione o condanna, quando in realtà la direzione spirituale, ambito privilegiato del discernimento, serve solo se accompagna il soggetto nell’esame del processo che lo ha portato, attraverso pensieri e sentimenti, a determinate conclusioni. I colloqui in cui una persona porta una decisione già presa, un fatto compiuto, una conclusione raggiunta, non servono a nulla, se non, come dicevamo, a tentare di raccattare puerilmente approvazione o disapprovazione.
Occorre invece capire che il direttore spirituale non sta di fronte, come un professore o un giudice, ma accanto e, quasi come un riedito Virgilio, ha il solo scopo di aiutare a osservare quanto sta avvenendo alla luce di quanto è avvenuto.
In altri termini, il direttore spirituale ci aiuta a imparare a leggere la vita nel suo scorrere. Ma per leggere, occorre imparare anzitutto a decifrare, perché la mia esistenza è un racconto, di cui i singoli eventi, incontri, situazioni, ecc. sono le parole, le sillabe, le lettere.
Ma io trovo un senso, un’unità, una continuità nella mia esistenza? Provo mai a leggere la mia esistenza? Oppure la approccio come un nugolo di cose che capitano, schegge impazzite da schivare o accogliere una alla volta?
“La nostra vita è il ‘libro’ più prezioso che ci è stato consegnato, un libro che tanti purtroppo non leggono, oppure lo fanno troppo tardi, prima di morire. Eppure, proprio in quel libro si trova quello che si cerca inutilmente per altre vie. […] Questo è un invito che io farei a tutti voi, anche lo faccio a me stesso: ‘Rientra in te stesso. Leggi la tua vita. Leggiti dentro, come è stato il tuo percorso. Con serenità. Rientra in te stesso’”.
Il Vangelo di Giovanni inizia dicendoci che “in principio era il Logos”: questa parola, che noi di solito traduciamo “Parola”, appunto, o “Verbo” (la parola interiore prima che sia espressa), in realtà nel suo significato omerico, intermedio rispetto all’originario “raccolta”, significa “racconto”.
“In principio era il Racconto…”: donandomi un’esistenza, una storia, il Creatore mi sta raccontando, cioè: racconta a me l’esistenza, e racconta me, e io ho il compito di ascoltare questo racconto, di imparare a leggerlo, di comprenderlo, di viverlo da protagonista.