Filippo Passantino
“Ribadiamo forte il nostro appello: occorre un’azione congiunta dei Paesi europei per aprire vie legali e sicure d’accesso. Così sarà possibile togliere i migranti dalle mani dei trafficanti. Non li sottrarremo definitivamente dal pericolo di morire in mare, anche perché con numeri così elevati ci sarà comunque chi non avrà i requisiti per arrivare in Europa. Ma così si ridurrebbe certamente il numero dei morti”. A lanciare l’appello è Oliviero Forti, responsabile delle politiche migratorie e di protezione internazionale di Caritas italiana. L’occasione è fornita dal soccorso delle unità della Guardia costiera italiana, della Guardia di finanza e di Frontex a due barconi con a bordo rispettivamente 700 e 650 persone per i quali Alarm Phone ieri aveva lanciato l’Sos mentre si trovavano alla deriva nella zona Sar tra Malta e Italia. Si tratta di uno degli ultimi episodi di naufragi, soccorso e traversate in condizioni disumane preceduto, nei giorni scorsi, da altre circostanze in cui hanno perso la vita anche dei bambini.
Una situazione che, secondo Forti, si può spezzare anche con i corridoi umanitari, che in piccole quote Caritas italiana già promuove.
“Faremo corridoi umanitari nei prossimi mesi dal Pakistan, dall’Africa e dal Medio Oriente. Occorre rafforzare queste ed altre vie legali di accesso. In primis è necessaria una programmazione seria di ingressi per motivi di lavoro, che in questi anni sono stati residuali, e investire di più sui programmi di reinsediamento”.
Perché gli sbarchi non sono un’emergenza. “Partiamo da un dato – spiega Forti –: il fatto che ci siano tanti arrivi in questi giorni è dettato anche dal meteo favorevole lungo la rotta storica del Mediterraneo centrale, dove troviamo al momento un numero cospicuo di persone e, purtroppo, anche di cadaveri. È una triste consuetudine da due decenni. Decine di migliaia di morti si sono verificate in questi anni con storie di persone che tentano di arrivare in Italia attraversando quel tratto di mare”. Un fatto che non porta i migranti a desistere. “I numeri di persone in viaggio su quella rotta sono elevati. Le morti in mare un tema di grande impatto. È un rischio enorme per i migranti mettersi in mare. Ma per un migrante rischiare la propria vita in quelle condizioni non costituisce disincentivo alla migrazione. Queste persone sanno quello che rischiano. Che è una rotta mortale. Ma ciò non li ferma”. Per queste ragioni, Caritas italiana quando incontra chi è prossimo alla migrazione nei campi profughi mette in guardia tutti. Eppure, la volontà di scappare dal proprio Paese di origine è più forte.
L’Italia non è sempre la meta. “Non bisogna fare l’errore di pensare che chi arriva in Italia resta – spiega Forti –. Molto spesso è solo un Paese di transito. I Paesi di primo ingresso sono impegnati in misura maggiore nelle attività di primissima accoglienza. Il destino di queste persone si gioca poi in altri Paesi europei Quello che manca, dunque, è un approccio europeo”. La storia delle migrazioni dell’ultimo decennio insegna che il territorio italiano, spagnolo e greco sono la prima meta. “Quello che non riescono a fare gli Stati, lo fanno i migranti stessi, che una volta giunti si spostano negli altri Paesi”. E Forti ammonisce: “Parlare di emergenza non ha senso. Non c’è una situazione tale sui territori che la possa fare paventare”.
Infine, uno sguardo alla possibilità di uno stop all’arrivo in Italia delle navi delle ong che hanno salvato migranti in mare:
“Abbiamo sempre sostenuto il soccorso in mare. Non ci interessa chi lo fa ma che le persone vengano salvate. Tutto ciò che non contribuisce a salvare le persone in mare ci desta profonda preoccupazione”.